Ricatti e scontro tra poteri interni, così gli ex ostaggi hanno rischiato di non partire

Ricatti e scontro tra poteri interni, così gli ex ostaggi hanno rischiato di non partire
ROMA - Un'intera giornata di trattative, e alla fine Gino Pollicardo e Filippo Calcagno sono stati consegnati alla delegazione italiana. Nella serata di ieri sono partiti...

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ROMA - Un'intera giornata di trattative, e alla fine Gino Pollicardo e Filippo Calcagno sono stati consegnati alla delegazione italiana. Nella serata di ieri sono partiti verso Tripoli, in direzione Roma, a conclusione di parecchie ore che hanno tenuto il nostro paese con il fiato sospeso. E sì, perché, subito dopo la liberazione dei due funzionari della società Bonatti, il Consiglio municipale di Sabrata che li aveva in consegna, si sarebbe sentito “superato” nelle decisioni e avrebbe avviato un braccio di ferro con l'Italia. «Rimarranno qui finché non verranno direttamente da noi due delegazioni ufficiali, ad alto livello, una italiana, e una del governo di Tripoli», è stata la richiesta. E tutto per ottenere una investitura istituzionale, anche rispetto al governo di Tripoli, dal quale dovrebbero dipendere in quel caos anarchico e feudale che è in questo momento la Libia. In serata il sindaco Hussein al-Zawadi ha sciolto la riserva: «Lasceranno Sabrata questa sera (ieri sera, ndr)», senza specificare se la destinazione finale fosse già l'Italia. Anche perché nelle stesse ore il direttore del dipartimento media stranieri del governo di Tripoli, Jamal Zubia, ipotizzava per oggi una conferenza stampa, e solo a conclusione dell'incontro la partenza degli ex ostaggi. L'aereo messo a disposizione per il rientro avrebbe lasciato la Libia in nottata verso Ciampino.


LA TRATTATIVA
La giornata era andata avanti tra accelerazioni e frenate. E mentre il premier Matteo Renzi annunciava «tra poche ore saranno a casa», a Sabrata la situazione si era complicata. Tanto che alle 13 di ieri un elicottero, con a bordo due funzionari del governo italiano, partito per andare a prendere i connazionali, non era rientrato in aeroporto. La pista del ritardo si è fatta più concreta dopo la notizia che anche un piccolo aereo con a bordo gli 007 dell'Aise, il nostro servizio segreto estero, era atterrato nello stesso luogo, e questo poteva voler dire che le operazioni avrebbero richiesto più tempo.

LA GUERRA INTERNA
Le complicazioni di questa vicenda sono, comunque, lo specchio del caos che avvolge un paese ormai senza Stato, in balia di milizie, tribù, bande criminali e jihadisti che si contendono il territorio e sfruttano gli ostaggi stranieri per finalità di riscatto o per ottenere una legittimazione politica. Proprio le autorità di Sabrata, dove gli italiani sono stati custoditi, rivendicano l'autonomia da Tripoli e vogliono essere considerate un interlocutore forte per i futuri assetti della Libia. Tanto che ieri il consiglio militare della città aveva puntualizzato che gli italiani sarebbero rientrati a casa solo dopo essere stati interrogati. Pollicardo e Calcagno saranno, invece, ascoltati dal pm Sergio Colaiocco, lo stesso che indaga sul caso di Giulio Regeni, per tentare di fare luce sui tantissimi misteri della vicenda. Mentre i corpi di Failla e Piano rimarranno ancora a Sabrata, per essere sottoposti ad autopsia. Un prezzo, probabilmente, pagato nella difficile mediazione.


Al momento, infatti, non c'è certezza sulla dinamica che ha portato al loro rilascio e alla morte dei colleghi: blitz o fuga, esecuzione o “fuoco amico”. E soprattutto, chi li ha tenuti prigionieri per così tanto tempo: criminali comuni, milizie locali o gruppi jihadisti. Sin dall'inizio, in Libia si erano affrettati a sostenere che i quattro dipendenti della Bonatti fossero stati rapiti da una banda di contrabbandieri. La nostra intelligence che aveva aperto un buon canale per la trattativa, ritiene, invece, che a rapirli siano stati gruppi locali composti da filo islamisti. Gli accordi erano arrivati a buon punto, qualcuno dice anche che una parte sostanziosa del riscatto era stata pagata, e che gli italiani erano “in movimento” per un trasferimento che li avrebbe avvicinati alla libertà. Ma il blitz di una non ben identificata “brigata” è costato la vita a Piano e Failla. E a quel punto, misteriosamente, sono stati rilasciati anche i colleghi. Chi dice perché abbandonati, chi perché fuggiti da soli. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero