Renzi e glii intellettuali, un rapporto difficile

Renzi e glii intellettuali, un rapporto difficile
ROMA - «A’ Vattimo, ma vattene affa...». Quattordici anni fa il segretario dei Ds Piero Fassino, nella Sala dello Stenditoio del San Michele di Roma, raccolse un...

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ROMA - «A’ Vattimo, ma vattene affa...». Quattordici anni fa il segretario dei Ds Piero Fassino, nella Sala dello Stenditoio del San Michele di Roma, raccolse un cospicuo gruppo di intellettuali per recuperare quella frattura tra il partito e il ”firmamento” dei grandi pensatori della sinistra culminata nell’ormai celebre raduno di piazza Navona dove l’”urlo” di Nanni Moretti santificò i successivi anni di berlusconismo. In quella occasione fu lo scrittore ”fasciocomunista” di Latina Antonio Pennacchi a mandare in vacca la riunione beccandosi ferocemente con l’europarlamentare e filosofo del pensiero debole, proprio sulla magistratura, mentre Moni Ovadia, Lidia Ravera, Furio Colombo e Asor Rosa osservano inorriditi la scena.


Il coraggio che allora ebbe Fassino oggi viene chiesto a Matteo Renzi dal professor Ernesto Galli della Loggia che sulle pagine del Corriere rimprovera al premier di avere amicizie «solo nel mondo del fare» mentre «a palazzo Chigi non si sono tenute molte cene con intellettuali o accademici illustri». Malgrado ne siano passati molti sul palco della Leopolda, il rapporto con gli intellettuali più o meno organici, Renzi ebbe modo di regolarlo un paio d’anni fa sostenendo che in Italia c’è un «ceto intellettuale dominante che si comporta come quei pensionati che si mettono a osservare il lavoro in un cantiere e guardando dicono ”non ce la faranno mai a finire”». Tanto per non essere frainteso disse poi di volersi «scusare di questo esempio, ma non con gli intellettuali bensì con i pensionati». Non siamo al craxiano «gli intellettuali dei miei stivali», ma poco ci manca.

A Bologna agli ”umarel”, ovvero ai pensionati appassionati di lavori edili, hanno dato un’apposita card che molto somiglia alle tessere di partito che molti intellettuali italiani hanno collezionato. La prima Repubblica ne contò tanti e più o meno fedeli, ma il record di pentiti post-ideologici è sicuramente della Seconda. Silvio Berlusconi nel 1996 ne ingaggiò un consistente gruppo proveniente per lo più dall’ex Pci e, per dimostrare che la sua discesa in campo contagiava anche i professori di sinistra, non esitò a ripagarli con un seggio in Parlamento. Erano gli anni di Lucio Colletti, Piero Melograni, Marcello Pera e Saverio Vertone  Alcuni di loro durarono poco. Altri votarono poi governi di sinistra, come quelli di D’Alema e Amato. Altri ancora spianarono la strada alle cooptazioni del 2001 con Ferdinando Adornato che fece il grande salto - annunciato dal Cavaliere dalla tolda della Nave delle Libertà - mentre Pera diventò poco dopo presidente del Senato.

Una cinquantina di docenti firmarono nel 2012 un manifesto per appoggiare la candidatura di Pier Luigi Bersani alle primarie. Bersani le vinse, ma poi non altrettanto accadde alle elezioni, ma alcuni promoter, come gli storici Gotor e Galli, ottennero il seggio dal quale hanno attaccato sin dal primo giorno il governo Renzi.


Ora, che il Rottamatore di Rignano abbia voglia di cenare con qualcuno di questi è difficile, ma non solo perché il pil che producono è limitato ma anche perché sul senso di impotenza, di sconfitta e di inefficacia di una intera generazione, Renzi può maramaldeggiare dal momento che può rivendicare - carta d’identità alla mano - di non appartenere alla generazione degli sconfitti. E dei gufi. Degli ”umarel” con apposita card. Appunto.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero