Renzi e l'arma delle urne: nessuna trattativa sull'agenda

Renzi e l'arma delle urne: nessuna trattativa sull'agenda
Tanta ”liberazione” e poca voglia di ”comunione” - almeno con la sinistra del suo partito - nelle parole che ieri Matteo Renzi ha pronunciato a Rimini dal palco del...

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Tanta ”liberazione” e poca voglia di ”comunione” - almeno con la sinistra del suo partito - nelle parole che ieri Matteo Renzi ha pronunciato a Rimini dal palco del Meeting ciellino, dal teatro Rossini di Pesaro e al Gran Sasso Institute dell'Aquila. Al rientro dalla breve pausa estiva il presidente del Consiglio si leva dalle scarpe più di un sassolino rilanciando il taglio delle tasse sulla prima casa «per tutti» (e quindi anche per le case di lusso), così come la riforma costituzionale del Senato che a suo giudizio passerà perché «una risata seppellirà gli emendamenti» e perché «moltiplicare le poltrone fa contenti «i politici non gli elettori». Toni durissimi nei confronti della sinistra interna al suo partito. Bordate alla Lega di Salvini che ha proposto i tre giorni nei quali bloccare il Paese. Monito a coloro che hanno alimentato «i vent'anni persi tra berlusconismo e antiberlusconismo», e ironia per Beppe Grillo definito «uno statista». Parole e concetti ruvidi pronunciati parlando a braccio davanti ad una platea che batte le mani, ma nega la standing ovation tributata a precedenti premier, e schivando i contestatori abruzzesi.




Il ”Renzi uno”, un po' rottamatore, un po' giocatore di poker, torna in pista per lanciare la sfida nella quale il governo potrebbe giocarsi l'osso del collo: quella sulla riforma costituzionale. Ai 600 mila emendamenti della Lega e al tentativo della sinistra del Pd di affossare tutto, riaprendo anche la discussione sull'articolo 2 di una legge costituzionale in buona parte già votata due volte, il premier risponde con un ”no” da campagna elettorale. Anche se sostiene di essere poco interessato al consenso - al punto da sfidare il suo elettorato che mal sopporta il soccorso ai profughi - annuncia un tour in cento teatri che ha il sapore della sfida ma dietro il quale si avverte anche il timore per le percentuali del suo partito. La seconda estate da premier è per Renzi più faticosa. Nel 2014 il vento del 40% incassato alle elezioni europee soffiava ancora forte e le elezioni amministrative non erano alle porte. Il rientro di quest'anno dalle ferie rischia di essere più faticoso, ma Renzi si considera ancora abbastanza forte da poter sfidare le opposizioni. Soprattutto quella interna al Pd. A Forza Italia, e al suo leader ancora in vacanza, il premier riserva invece un trattamento speciale non citandolo espressamente lasciando invece ”galleggiare” la minaccia di un «tutti a casa» se la riforma costituzionale non dovesse passare. Alla sinistra del Pd, che nei giorni scorsi ha presentato con Roberto Speranza una sorta di manifesto economico che esclude l'esenzione dell'Imu per le case di lusso, Renzi non concede nessuno spazio convinto com'è che il loro unico obiettivo sia quello di mandarlo a casa. Lo scontro si annuncia durissimo e preoccupa il presidente del Senato Pietro Grasso che ieri, aprendo il festival dell'Unità di Milano, ha invitato le forze politiche «a trovare una soluzione politica». Per Renzi la soluzione non c'è e «la forzatura» temuta da Grasso, rischia di concretizzarsi.



SECCHE


Nella pausa ferragostana, leggendo i giornali e i talk show che raccontano «un'Italia noiosa», Renzi ha rivisto allargarsi la palude che nel ventennio berlusconiani-antiberlusconiani, ha bloccato l'Italia nel consociativismo che non scontentava nessuno. Il Rottamatore non sembra avere questo problema e torna ad attaccare anche i sindacati promettendo la riduzione delle ore di permesso sindacale. Indifferente ai gruppi di pressione, alle lobby e alle corporazioni, il presidente del Consiglio strapazza tutti convinto che per far uscire il Paese dalle secche occorra mettere da parte ogni mediazione «Da qui ai prossimi due anni e mezzo nessuna elezione in vista. Da qui a due anni e mezzo non si va al voto», promette il presidente del Consiglio consapevole però che il rischio dell'«incidente», come lo definisce l'azzurro Giovanni Toti, è sempre dietro l'angolo. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero