«L’uomo è un animale che ragiona piuttosto che ragionevole, per la maggior parte governato dall’impulso della passione». Scomodiamo Alexander...
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Si possono avere legittimamente idee diverse sulla riscrittura di 47 articoli della Costituzione. Li si può condividere, in tutto o in parte, come pure se ne possono trovare errati o poco convincenti alcuni: in ciò consiste la libera scelta dei cittadini. Avrebbe dovuto essere un voto nel merito, come sarebbe giusto e doveroso in un sistema maturo, ma così non è stato. L’appuntamento di oggi, al culmine di una estenuante campagna elettorale che ha incrudelito gli animi, è diventato altro per una serie di errori politici dei protagonisti. Una ordalia nient’affatto adeguata alla portata dell’evento. Un Giudizio Universale che ha finito per sovrastare il merito della scelta. Ben oltre l’implicito test sullo stato di salute di un governo, cosa perfino ovvia in un contesto non avvelenato.
La contesa ha assunto proporzioni e implicazioni che hanno investito la credibilità e l’affidabilità dell’Italia. Insomma, si è trasformato il tutto in un verdetto decisivo per la stabilità finanziaria del Paese. Il perché è presto detto: lo abbiamo visto a fine giugno con il rovinoso test della Brexit, i cui esiti sono andati oltre le intenzioni degli elettori.
Nei giorni scorsi la turbolenza e la volatilità dei mercati, l’interesse spasmodico di investitori e speculatori internazionali, ci hanno comunicato a chiare lettere come gli effetti del voto di oggi potrebbero avere un impatto duro, anche sul sistema bancario dopo le tensioni di questi mesi.
La vera questione ormai non è quella di approvare o bocciare la riforma, tenendoci la vecchia Costituzione, ma quella di garantire e tenere in piedi il sistema Italia. Troppe emozioni, troppe passioni, soprattutto all’estero, sono state riversate sul voto. È venuto il momento di recuperare la ragione.
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Il Messaggero