Il No al referendum sulla riforma costituzionale «sarebbe un passo indietro per gli investimenti stranieri in Italia». Scende in campo l'ambasciata Usa per...
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Un uno-due che riaccende lo scontro sulle riforme e che lascia esterrefatta la minoranza dem. Critico Cuperlo: «Si è trattato di un intervento inopportuno». «Le parole dell'ambasciatore americano sono cose da non credere. Per chi ci prendono?», attacca Bersani che poi chiede di «tenere i piedi per terra» e di «raffreddare il clima» perché «il giorno dopo il referendum sarà tutto come il giorno prima, con lo stesso governo e con gli stessi problemi». E accusa senza mezzi termini il presidente del Consiglio: «Aver allestito un appuntamento come fosse un giudizio di Dio darà fiato alla speculazione finanziaria e a tutti quelli che vogliono mettere mano sul nostro destino».
LE POSIZIONI
I ribelli del Pd non costituiranno comitati ma in ogni caso sono pronti ad annunciare la propria posizione. «Non darò indicazioni ma se mi chiedete come voterò per ora dico No, serve una proposta sulla legge elettorale prima del referendum», ribadisce l'ex segretario dem che domani sera riunirà i suoi. La partita è sempre quella sull'Italicum con il Pd che ha deciso di virare sul Provincellum. C'è poi la questione della legge elettorale per il Senato, «un aspetto non certamente marginale della riforma costituzionale», fa notare Fornaro.
Tensione dunque sempre più alle stelle nel partito del Nazareno ma ad insorgere contro le parole dell'ambasciatore Usa (il dipartimento di Stato ha deciso di non commentarle) e contro Fitch che punta il dito contro l'eventuale «turbolenza politica e i problemi nel settore bancario» che «potrebbero portare ad un intervento negativo sul rating dell'Italia» sono anche le altre forze politiche che non fanno parte della maggioranza. «Renzi non faccia il lacchè di lobby e grandi aziende», dice Fratoianni di Sinistra italiana. «L'ambasciata Usa si faccia gli affari suoi», protesta Salvini mentre Brunetta e Romani, criticando «l'inaccettabile» ingerenza Usa, chiamano in causa il Colle. «Mattarella valuti se Phillips è ancora gradito», rilancia Calderoli. «Renzi pretenda le scuse», taglia corto la Meloni per Fdi.
Il pentastellato Di Battista, invece, chiede a Phillips «se rappresenta il popolo americano o l'interesse di qualche banca d'affari come la Jp Morgan».
LE TENSIONI
Ad alzare ancor più i toni per il Movimento 5 stelle è Luigi Di Maio. Renzi è «il più grande provocatore del popolo italiano», è il parere del vice presidente della Camera che paragona il presidente del Consiglio a Pinochet, collocandolo in un primo momento in Venezuela e non in Cile. «Non sa leggere e parla a vanvera», ironizza il renziano Marcucci. «Attaccare il premier è legittimo. Paragonare l'Italia a una dittatura è squallido. Di Maio è un piccolo uomo», reagisce il sottosegretario alla presidenza del consiglio Luca Lotti. Renzi in questo caso viene difeso anche dalla minoranza Pd: «Questo paragone - osserva Speranza - dimostra solo l'improvvisazione e la povertà di argomenti».
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Il Messaggero