Chi ha portato Greta Ramelli e Vanessa Marzullo in Siria? Chi le scortava ad Aleppo, prima che venissero rapite da un gruppo di uomini armati? Il primo viaggio delle due...
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Al momento non si ha alcuna notizia di chi possa essere stato a prendere le due ragazze, tantomeno di contatti con i rapitori. La Farnesina non fornisce informazioni, le famiglie Marzullo e Greta invitano al riserbo e al silenzio. «Se volete stare vicini a Vanessa e Greta, raccontate cosa succede in Siria e perché è in questa situazione» ha detto ieri il fratello di Vanessa in polemica con i giornalisti.
LE OPPOSIZIONI DIVISE
Non si sa chi le ha rapite, e - come abbiamo spiegato - non è chiaro neppure chi le abbia accompagnate ad Aleppo impegnandosi a garantire la loro sicurezza. Nel variegato panorama dell'opposizione siriana, le divisioni a livello politico si ripercuotono spesso anche nel campo del volontarismo e nelle associazioni che si dedicano ad aiutare la popolazione delle zone martoriate dalla guerra civile. È solo di pochi mesi fa una riunione tenutasi a Bologna e che cercava di coordinare, tra mille difficoltà, l'aiuto umanitario verso la Siria. Troppo spesso infatti venivano a sovrapporsi progetti simili e invio di materiale non richiesto o in zone dove già erano attive altre associazioni. Forse è per questo che Greta e Vanessa, insieme a Roberto Andervill, avevano deciso di fondare una loro associazione. La Horryaty - Assistenza sanitaria in Siria. Non una ong, come è stato scritto erroneamente, e neanche un onlus, ma una semplice associazione di tre persone. Si appoggiavano ad altre realtà della zona, come l'associazione “Rose di Damasco” di Asso.
AD ALEPPO
Nei precedenti viaggi le due ragazze erano andate nella città di Idlib, questa volta invece avevano cambiato zona spostandosi ad Aleppo. Avevano con sé circa 5 mila euro in contanti. Non è chiaro cosa siano andate a fare in uno dei luoghi più pericolosi della Siria. Il progetto di cui parlavano su Facebook riguarda un non precisato «progetto di servizi idrici, sanitari e culturali». Le ragazze volevano organizzare anche dei corsi di primo soccorso per i civili e per il personale sanitario. Le due ragazze erano sempre presenti alla manifestazioni italiane in favore della Siria libera da Assad e dal suo sanguinario regime. Anche a Roma si erano fatte vive, lo scorso 15 marzo, insieme ad altre centinaia di persone venute da tutta Italia. Ma dall’essere semplici sostenitrici di una causa a diventare attiviste direttamente impegnate nella gestione delle emergenze e nell'invio di materiale medico e di prima necessità, in un paese dilaniato dalla guerra, di acqua sotto i ponti ne deve passare. E tanta. Difficile credere che due ventenni con poca esperienza possano avere la preparazione e la capacità organizzativa per muoversi e agire sui teatri di guerra. Un corso per operatori di primo soccorso, che non fa diventare di certo infermieri professionisti, così come aver passato tre settimane a Calcutta o in Zambia non fa diventare una persona esperta nell'ambito della cooperazione internazionale. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero