Quando la politica perde il primato

Quando la politica perde il primato
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Un grande filosofo insegnava che la differenza tra la morale autonoma e quella eteronoma sta nel fatto che la prima deriva da un profondo convincimento interiore, e la seconda da un’imposizione o da un suggerimento esterno. Delle due, solo la prima è nobile e vincolante, perché disinteressata e sincera.




La seconda, al contrario, è ambigua e incerta, perché ubbidisce a ragioni di convenienza. Non sappiamo se sia così anche in politica, perché, come s’è detto più volte, quest’ultima risponde più a criteri utilitaristici che a esigenze etiche. Nondimeno, la politica è certamente tanto più credibile ed efficace quanto più segue argomentazioni autonome, cioè sue proprie, piuttosto che adeguarsi a suggerimenti estranei alla propria funzione.



Sotto questo profilo, le reazioni del presidente Renzi alla manifestazione romana, e quelle del ministro Alfano all’auspicio papalino dell’amnistia, costituiscono buone notizie: nel senso che, appunto, la politica riafferma, senza esitazione, il proprio primato.



L’atteggiamento di freddo distacco del Primo ministro di fronte all’happening “per la legalità”, è finalmente una ferma e dignitosa risposta alla petulante sequenza di appelli e cortei che a suo tempo Leonardo Sciascia, con l’intelligenza e la lungimiranza del razionalista disincantato, aveva etichettato come professionismo dell’antimafia. Risposta coraggiosa nei confronti dell’intimidazione moralistica delle vestali della legalità condiziona da parecchi anni ogni iniziativa difforme dalla “vulgata” di chi si è arrogato il monopolio della virtù civile.



E risposta legittima e giustificata, perché questo governo ha fatto e sta facendo molto per combattere la delinquenza organizzata e la sua figlia naturale, che si chiama corruzione. Con tutte le riserve, che abbiamo già espresso, sulla inutilità e il velleitarismo di alcuni provvedimenti, come l’inasprimento delle pene e la creazione di nuovi reati, dobbiamo rendergli atto che, sotto il profilo preventivo, il governo sta operando bene. La revisione del codice degli appalti, l’avvio di una semplificazione normativa e la nomina di Cantone sono significativi esempi di una volontà seria e di una determinazione risoluta. Di conseguenza, Renzi ha tutte le ragioni di sfilarsi dall’ennesimo girotondo avallato, per colmo di ironia, dalla presenza tardiva di un sindaco definito, da una irriverente e geniale vignetta, titolare di sede vacanze.



Ma anche la risposta altrettanto fredda data dal ministro degli Interni all’invocazione papalina di un’amnistia generale merita considerazione e plauso. Non perché una amnistia non sia utile e addirittura necessaria. Ma lo è per le ragioni strategiche esposte più volte da Napolitano e da Marco Pannella, e non per un generico e perdonistico buonismo, diseducativo e inefficace. L’amnistia è necessaria non per svuotare le carceri, perché costituirebbe un riconoscimento di impotenza, una resa rassegnata che comunque rimanderebbe, senza risolverlo, il problema dell’affollamento.



E nemmeno è necessaria per caritatevole indulgenza cristiana, perché lo Stato non può arrogarsi il diritto al perdono, che spetta soltanto alle coscienze individuali delle vittime e dei loro parenti. L’amnistia è necessaria alla condizione che rappresenti una svolta culturale nella filosofia del reato e nella funzione della pena, superando la concezione del carcere come unica risposta repressiva, modulando le sanzioni secondo i criteri costituzionali della umanizzazione e del reinserimento sociale. Più o meno le cose dette anche dal ministro Orlando; altrimenti, diventa una lotteria.



Concludo. Renzi e i suoi hanno, ciascuno a modo proprio, affermato l’autonomia e l’autosufficienza della politica: lo hanno fatto con coraggio, davanti alla piazza e davanti al Papa. Ora aspettiamo la prova più importante: che lo facciano davanti alla Magistratura. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero