Nel day after della sentenza della Consulta sulla legge elettorale, partiti e gruppi parlamentari trovano lo spunto per nuove tensioni e polemiche. Al di là della forma...
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Di diverso avviso si sono mostrati ieri i deputati grillini innescando alla Camera una vivace contestazione che ha visto anche momenti di forte tensione e l’abbandono dell’aula da parte dei 5Stelle. Il pretesto di fondo, la «illegittimità» del Parlamento e il rifiuto della presidente Boldrini di convocare la capigruppo per incardinare una legge che ripristini il Mattarellum per tornare al più presto possibile alle urne. Inutile la replica di Laura Boldrini in difesa di una Camera «pienamente legittima e legittimata ad operare». La protesta dei grillini, incentivata da un twitter del loro leader: «Il Parlamento è illegittimo, la Boldrini sbrocca!», era d’altra parte condivisa, almeno nelle premesse, da Forza Italia, il cui capogruppo, Renato Brunetta, sostiene che la sentenza della Consulta «delegittima il Parlamento» e di conseguenza «forse anche il capo dello Stato nominato due volte da Camere elette con il Porcellum».
BRACCIO DI FERRO TRA CAMERE
La bagarre innescata da M5S rientrava solo quando la conferenza dei capigruppo di Montecitorio, con una decisione foriera di nuove polemiche, chiedeva alla presidente Boldrini di prendere accordi con il suo omologo di palazzo Madama, Pietro Grasso, per lo spostamento, in via d’urgenza, alla Camera della discussione sulla riforma elettorale da mesi incardinata senza risultati di sorta in commissione Affari costituzionali del Senato. Piena la disponibilità alla richiesta dei capigruppo della Boldrini che ha ricordato i suoi ripetuti appelli alla politica di «non farsi precedere dalla Consulta» nell’intervento sul Porcellum e annunciava che si sarebbe attivata per le «necessarie intese» con Grasso. Il quale ha ricevuto ieri il ministro dei Rapporti con il Parlamento Franceschini per parlare di una scelta che appare tutt’altro che semplice, dal momento che la commissione del Senato non intende passare la palla alla Camera e per questo ha istituito un comitato ristretto che, sulla riforma del Porcellum, dovrebbe fare in breve quanto non è stato fatto in lunghi mesi di stallo tra opposte soluzioni. Il passaggio alla Camera è sostenuto dai renziani del Pd, ma è strenuamente osteggiato dal Nuovo centrodestra, nel timore che a Montecitorio si possano stabilire sulla riforma inedite alleanze tra Pd e M5S. Prima Angelino Alfano bolla come «speciosa» la discussione in proposito e poi, il capogruppo di palazzo Madama, Maurizio Sacconi, a Grasso non le manda a dire: «Il presidente del Senato è avvertito. Se dovesse piegarsi a pretese di partito o di frazioni di partito verrebbe meno al suo ruolo istituzionale e le nostre reazioni - avverte Sacconi - sarebbero proporzionate a un comportamento così grave». Infine, era l’appena eletto presidente del Ncd, il senatore Renato Schifani, a sancire che «non c’è nessun motivo per lo spostamento della legge elettorale alla Camera. C’è una prassi consolidata, l’iter della legge è già incardinato al Senato». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero