Pecorino romano, tra Lazio e Sardegna scoppia la guerra del formaggio

Pecorino romano, tra Lazio e Sardegna scoppia la guerra del formaggio
Chiamatela, se volete, la guerra del cacio. Tra Lazio e Sardegna, più che torte, infatti volano formaggi in faccia. Dopo il grido bipartisan «il pecorino romano non...

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Chiamatela, se volete, la guerra del cacio. Tra Lazio e Sardegna, più che torte, infatti volano formaggi in faccia. Dopo il grido bipartisan «il pecorino romano non si tocca» dei tre consiglieri regionali alla Pisana – Daniele Sabatini, Enrico Panunzi e Riccardo Valentini – adesso arriva la Cia difendere il prodotto. Perché nella battaglia contro il Consorzio di tutela del pecorino romano – da cui si chiede la separazione – anche la Tuscia c’è dentro fino al collo.


Cosa succede? «Non appagati per aver approvato un piano di contingentamento del pecorino romano che impedisce lo sviluppo di quello del Lazio, al quale viene assegnata la quota ridicola di 6 mila quintali sui 270 mila programmati, ora il consorzio vorrebbe impedire ai produttori del Lazio di utilizzare il termine “Romano” anche per la produzione delle caciotte»: lo dicono a tre voci il presidente regionale della Cia, Ettore Togneri, il suo omologo viterbese Fabrizio Pini e il direttore Cia Viterbo, Petronio Coretti.

Nonostante tuteli il prodotto che porta il nome della Capitale, il consorzio è targato Sardegna: ha sede a Macomer. E la Tuscia che c’entra? Solo un’azienda locale, il caseificio I buonatavola Sini di Nepi, «produce oltre il triplo dell’intero pacchetto concesso a tutta la regione: 20 mila quintali». Figurarsi se si aggiungono anche quelle nel resto del Lazio. «Questa programmazione proposta dal consorzio e accettata dal ministero – spiega Coretti –penalizza fortemente il Lazio, in Sardegna avrebbero il controllo totale. Industriali e produttori di latte non ne sono neanche stati informati». E chi sfora, cosa rischia? «Deve pagare al consorzio 14 centesimi ogni chilo in più». Moltiplicato per 14 mila quintali, fa quasi 200 mila euro.


Il caseificio ha fatto ricorso al Tar «e noi – continua Coretti – ci costituiremo ad adiuvandum, ma vorremmo trovare un accordo prima di arrivarci». Resta il fatto che, al momento, «siamo all’assurdo: i produttori del Lazio, per utilizzare il termine “Romano” – spiegano ancora Togneri, Pini e Coretti –  dovrebbero avere il permesso da quelli della Sardegna. La Regione ha chiesto e ottenuto dal ministero un tavolo di confronto con la Sardegna e il consorzio per trovare un accordo. Altrimenti si vada a una separazione consensuale». Ma qual è il pecorino “Romano” migliore? «Il formaggio è diverso – conclude Coretti – ma il nostro è di qualità superiore» Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero