Patente sospesa perché gay, lo Stato dovrà dargli 100mila euro di risarcimento

Danilo Giuffrida (ansa)
I ministeri della Difesa e dei Trasporti dovranno versare 100mila euro come risarcimento danni a Danilo Giuffrida, 35 anni, che subì l'iter di sospensione della patente...

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I ministeri della Difesa e dei Trasporti dovranno versare 100mila euro come risarcimento danni a Danilo Giuffrida, 35 anni, che subì l'iter di sospensione della patente di guida dopo che alla visita di leva aveva rivelato di essere omosessuale. Lo ha deciso la Corte d'appello civile di Palermo che ha riformato la decisione dei giudici di secondo grado di Catania che, il 10 aprile del 2011, hanno confermato la sentenza del Tribunale del 2008, ma hanno ridotto da 100 a 20mila euro il risarcimento.


La Cassazione, su ricorso dell'avvocato Giuseppe Lipera, ha annullato con rinvio la sentenza sull'entità del risarcimento sottolineando «la gravità del comportamento» dei due ministeri visto che «l'identità sessuale è da ascrivere» al «diritto costituzionale involabile della persona» e che Giuffrida è stato vittima di «un vero e proprio e intollerabilmente reiterato comportamento di omofobia». Per i giudici di Palermo «una somma inferiore ai 100mila euro non sarebbe idonea al ristoro dei pregiudizi subiti». I due ministeri, compreso quello della Difesa che non si è presentato in giudizio, sono stati condannati dalla Corte d'appello di Palermo anche a pagare le spese processuali di tutti i giudizi fino ad oggi sostenuti da Giuffrida.


«È una vittoria non personale del singolo - affermano in una nota Danilo Giuffrida e il suo legale, l'avvocato Giuseppe Lipera - ma di tutti coloro che ogni giorno sono costretti a sopportare condotte intollerabili che offendono la dignità della persona e dell'individuo, i quali non devono subire discriminazioni in base alle proprie scelte sessuali, specie se tali comportamenti provengono dalle Istituzioni Pubbliche nell'esercizio delle loro funzioni amministrative. Speriamo che questa sentenza, ma soprattutto quella della Corte di Cassazione - aggiungono - sia un monito non soltanto per le Amministrazioni, ma per qualsiasi rappresentazione della società, sia essa privata o pubblica, in maniera da rendere eguali i diritti della persona e del cittadino, senza subire discriminazioni di nessun tipo, siano esse di genere, siano esse di altra natura, ma sempre di sprezzante riluttanza al nostro senso etico, morale e giuridico».


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Il Messaggero