Città del Vaticano Stavolta in Vaticano ci sono voluti ben quattro giorni prima di reagire, rompere il silenzio e condannare uno dei peggiori attentati che siano mai...
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Un ritardo nella reazione vaticana piuttosto curioso e inspiegabile se paragonato alla puntualità che, invece, viene rispettata ogni volta che avvengono attentati altrettanto gravi e orrendi ma in zone europee o occidentali. Sicuramente quello che appare come uno strabismo curioso è solo il frutto di una banale disattenzione da pare della struttura curiale, magari dovuta a qualche intoppo burocratico, tuttavia è difficile non notare la differenza. Come se vi fossero attentati aventi un maggiore impatto emotivo rispetto ad altri. Solitamente la condanna papale è sempre immediata. Per esempio nel caso di Barcellona (l'attentato orribile avvenuto a metà agosto sulle Ramblas); Papa Francesco si unì immediatamente al dolore collettivo attraverso una nota diffusa dopo qualche ora dal portavoce vaticano Greg Burke. Oppure a maggio quando Papa Francesco fece sentire subito la sua voce per deplorare la strage di Manchester al concerto di Ariana Grande, che fu causa di 25 morti e 250 feriti.
Anche a giugno però fu notata un'altra disattenzione, stavolta oggetto di una segnalazione alla curia da parte dell'ambasciata iraniana. La diplomazia di Papa Francesco impiegò ben due giorni prima di formulare il telegramma papale di cordoglio al popolo iraniano dopo l'attentato al Parlamento di Teheran e al mausoleo di Khomeini. Due azioni rivendicate dall'Isis e costate la vita a 16 persone che Bergoglio condannò in modo duro. In genere telegrammi di questo tipo - davanti a sciagure, terremoti o attentati - vengono preparati in giornata o al massimo nell'arco di poche ore. Qualcosa anche in quella circostanza deve essere andato storto. O forse - come il Papa ha diverse volte costatato - vi è una assuefazione al dolore che tende a livellare tutto.
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Il Messaggero