Baku, da Papa e Imam in moschea appello per la pace: «La fede in Dio non giustifica guerre e ingiustizie»

Baku, da Papa e Imam in moschea appello per la pace: «La fede in Dio non giustifica guerre e ingiustizie»
dal nostro inviato BAKU (Azerbaijan) - Davanti al Mirahb, all'interno della moschea di Baku intitolata  (come tutto in Azerbaijan) alla memoria del padre dell'attuale...

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dal nostro inviato
BAKU (Azerbaijan) - Davanti al Mirahb, all'interno della moschea di Baku intitolata  (come tutto in Azerbaijan) alla memoria del padre dell'attuale presidente Aliyev - il defunto presidente Heydar Aliyev - unico luogo al mondo dove sciiti e sunniti pregano insolitamente assieme –  Papa Francesco e lo sceicco dei musulmani del Caucaso, si ritrovano fianco a fianco. Prima si scambiano i doni (un corano e un quadro) e poi si dirigono su due scranni, poco più in là, per un colloquio. L'ultima tappa prima di ripartire per Roma, è la più simbolica, ed è destinata ad avere una eco in tutta la regione e all'interno del mondo islamico. “Non si tratta di un sicretismo conciliante, né una apertura diplomatica che dice sì a tutto per evitare i problemi, ma dialogare per gli altri, e pregare per tutti questi sono i nostri mezzi per mutare le lance in falci” ha detto Bergoglio sorridendo allo sceicco Allahshukur Pasazhadeh, 67 anni, già membro del parlamento azero e prima ancora, ai tempi dell'Urss, membro del Soviet Supremo, uno che, per farla breve, ha superato indenne diverse fasi storiche, fino a ricevere da Giovanni Paolo II l'onorificenza vaticana di San Gregorio.


L'imam e il Papa si ritrovano sulla stessa lunghezza d'onda nel denunciare la strumentalizzazione che viene fatta della religione. “Siamo interpellati a dare una risposta non più rimandabile, a costruire insieme un futuro di pace, non è tempo per soluzioni violente o brusche”. Le religioni siano “albe di pace, semi di rinascita, nella attuale notte di conflitti che stiamo attraversando”. Perché Dio, hanno convenuto entrambi, non può “essere invocato per interessi di parte e per fini egoistici, non può giustificare alcuna forma di fondamentalismo, imperialismo e colonialismo”.

La pace è il grande sogno, un miraggio, in questa regione complicata da stratificazioni storiche ma soprattutto attraversata da troppi interessi geopolitici ed economici. Francesco non sembra arrendersi e prospetta un patto con l'Imam. "Serve una pace duratura, animata dal coraggio di superare le barriere e debellare le povertà, e le ingiustize, la proliferazione di armi e i guadagni iniqui fatti sulla pelle degli altri. La voce di troppo sangue grida a Dio dal suolo della nostra casa comune, la terra".

Qualche ora prima, invece, incontrando il presidente Aliyev, Papa Bergoglio si era fatto portavoce di un appello per la pace. Il desiderio di una fase nuova nel Caucaso, basata sul dialogo, sul negoziato, sulla volontà di trovare una “soluzione soddisfacente” per i conflitti in corso. In sottofondo c'è il nodo nel Nagorno Karabakh, la regione contesa con l'Armenia, anche se Francesco non la ha mai menzionata apertamente. “Rivolgo a tutti l'invito a non lasciare nulla di intentato. Sono fiducioso che, con l'aiuto di Dio, e mediante la buona volontà delle parti, il Caucaso potrà essere il luogo dove, attraverso il negoziato, le controversie e le divergenze troveranno la loro composizione e il loro superamento”. Poi ha spezzato una lancia a favore del "multiculturalismo e del rispetto della libertà altrui", anche se l'Azerbaijan non sempre è un campione. La libertà di stampa, per esempio, non sempre è garantita pienamente, come del resto Amnesty ha denunciato nei suoi rapporti.


Se il Papa non ha mai parlato apertamente del Nagorno Karabakh, il presidente Aliyev, invece, si è lanciato in una dura invettiva contro la nazione armena con la quale è in corso una guerra per il controllo del territorio. Al Papa il presidente azero ha spiegato che “questo conflitto potrebbe essere risolto attraverso le leggi internazionali. Potrebbe finire domattina se l'Armenia ritirasse il suo esercito in modo incondizionato. Noi stiamo vivendo da tempo una grave crisi umanitaria a causa della pulizia etnica compiuta dagli armeni. Si parla di un milione di azeri che hanno dovuto lasciare la regione. La gente soffre tantissimo”.

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Il Messaggero