Papa Bergoglio è andato nel carcere di Paliano invitato da un narcotrafficante argentino

Papa Bergoglio è andato nel carcere di Paliano invitato da un narcotrafficante argentino
Città del Vaticano - Dietro messa del Giovedì Santo celebrata due giorni fa da Papa Bergoglio nel carcere di Paliano, in provincia di Frosinone,...

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Città del Vaticano - Dietro messa del Giovedì Santo celebrata due giorni fa da Papa Bergoglio nel carcere di Paliano, in provincia di Frosinone, c’è l’amicizia epistolare con un detenuto argentino. Si tratta di un giovane narcotrafficante di Buenos Aires, arrestato alcuni anni fa in Italia. Faceva parte di una organizzazione che introduceva sul mercato italiano ingenti quantitativi di cocaina dal Sud America. Una vasta rete di corrieri, commerci illeciti, cartelli particolarmente ramificati con la camorra e la mafia. E’ a questo detenuto che si deve la visita. Il vescovo di Palestrina, monsignor Sigalini, ha raccontato di essersi stupito molto quando ha avuto la notizia che il Papa sarebbe arrivato a Paliano. «Siete sicuri?». La notizia era certa. Tutto è nato perché alcuni mesi fa il detenuto argentino ha fatto arrivare a Santa Marta, tramite un sacerdote romano, una lettera che conteneva un invito fatto a nome degli altri detenuti (molti dei quali in isolamento). «Santità venga a trovarci».


Il cappellano del carcere, don Luigi Paoletti, racconta che il detenuto - che sta collaborando con la giustizia -  ha conosciuto il Papa nel carcere di Poggioreale, due anni fa, quando Francesco fece tappa a Napoli. «C’è anche una foto che li ritrae assieme» spiega don Luigi. «Ora lui non si trova più in isolamento perché ha iniziato a collaborare con i magistrati. Ora può lavorare anche se sempre dentro al carcere, in una delle strutture lavorative presenti. C’è persino il laboratorio di pizzeria e un orto favoloso». La corrispondenza epistolare tra il carcerato e il Papa è periodica. «Una volta mi ha mostrato anche una lettera». 
 

Il carcere ospita una settantina di carcerati, fra uomini e donne. La casa di reclusione è una fortezza del XVI secolo rimaneggiata nell’Ottocento quando fu creato anche il sanatorio per chi è affetto da Tbc. Conta cinquantaquattro celle che formano un istituto particolare perché dedicato ai collaboratori di giustizia che «stanno scontando pene molto lunghe. Alcuni vivono in isolamento, si tratta di un periodo di circa 6 mesi necessario ai magistrati per effettuare le verifiche sulle deposizioni e gli interrogatori», chiarisce il cappellano. 
 
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Il Messaggero