Il papà rapito e ucciso in Nigeria ma l'Inps dice che non è morto

Il papà rapito e ucciso in Nigeria ma l'Inps dice che non è morto
Quanti anni ci vogliono per essere considerati morti davvero, dopo la morte? Almeno una decina, secondo lo Stato, e secondo l’Inps. ...

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Quanti anni ci vogliono per essere considerati morti davvero, dopo la morte? Almeno una decina, secondo lo Stato, e secondo l’Inps.


Troppi, decisamente, per chi aspetta di vedersi liquidata una pensione di cui avrebbe assoluto bisogno per costruirsi un futuro. Il caso riguarda la giovane italo-rumena Laura Trevisan, 18 anni, residente a Bucarest ma figlia di Silvano Trevisan, di San Stino di Livenza, il tecnico rapito il 17 febbraio 2013 assieme a sette colleghi nello stato di Bauchi, in Nigeria, dal famigerato gruppo terroristico Boko Haram, e ucciso nei giorni successivi al sequestro. Trevisan aveva una moglie e una figlia residenti a Oristano, ma Laura - regolarmente riconosciuta e con la cittadinanza italiana - era il frutto di una successiva relazione dell’uomo con una donna rumena. È lei, studentessa liceale e all’epoca a carico del padre, ad aver chiesto all’Inps dopo la sua morte la concessione della pensione di reversibilità, ricevendo però una risposta negativa, che suona come una beffa. «Mi è stato detto che senza il certificato di morte di papà non posso fare domanda di pensione - dice Laura da Bucarest - ma questo certificato non posso averlo, perché non essendo stata ritrovata la salma, la legge italiana prevede che si debba aspettare due anni per fare la dichiarazione d'assenza e altri otto per fare istanza di morte presunta».



Tutto questo nonostante le notizie del rapimento e dell'uccisione di Trevisan siano state comunicate ufficialmente ai familiari dall'Ambasciata d'Italia a Bucarest, nonostante il Consolato italiano a Bucarest abbia consegnato loro la comunicazione dei RIS riguardante la completa compatibilità delle foto recenti del tecnico e le foto del cadavere siano state diffuse in rete.



«Mi sono stati consegnati anche gli effetti personali di mio padre - conclude Laura - ma purtroppo non essendo stata ritrovata la salma il certificato non ho potuto averlo. A più di un anno della morte di mio padre, vittima di un atto di terrorismo internazionale, non vorrei che questa brutta vicenda fosse dimenticata; e non trovo giusto considerare "morte presunta" una morte già confermata dalle massime autorità dello Stato». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero