Gli investigatori parlano di omicidio «strategico». E non solo per il nome di una delle due vittime, Vincenzo Bontà, il padre, Nino, condannato per mafia, il...
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Ucciso nel 1988 nella sua casa bunker, si disse perchè, escludendo la mano mafiosa dietro l'omicidio del piccolo Claudio Domino, aveva di fatto riconosciuto l'esistenza di Cosa nostra. Un movente «formale» che nascondeva la volontà di eliminare un personaggio ritenuto inaffidabile dalla stessa fazione per cui aveva rinnegato il suo sangue. Il nome della famiglia della moglie, dunque, l'aveva aiutato. Ma il resto, pensano gli investigatori, Vincenzo Bontà se l'era conquistato sul campo. E probabilmente nulla gli faceva temere d'essere in pericolo. Stamattina, insieme al suo guardaspalle, Giuseppe Vela, bracciante che lavorava sui terreni che la vittima gestiva nella zona di Villagrazia, antico feudo del suocero che le misure di prevenzione non hanno mai sottratto al clan, doveva incontrare qualcuno. È sceso dall'auto. L'ha parcheggiata. E a bruciapelo è stato freddato, insieme all'amico a colpi di calibro 9. Al torace e poi alla nuca: un'esecuzione in perfetto stile mafioso. Vela ha fatto la stessa fine, i sicari, almeno due, non l'hanno risparmiato, nonostante l'obiettivo della spedizione non fosse lui.
L'agguato è avvenuto in via Falsomiele, dove la strada si fa stretta e le vie di fuga non ci sono.
Il Messaggero