Un lavoro che sfianca e sfinisce. Non solo nel corpo, ma anche nell’anima. E nella dignità. Fino a far perdere i sensi. Come accade sempre più nelle fabbriche...
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Avviene che, in enormi capannoni che sbucano come (bui) miraggi dal nulla nei distretti industriali di Phnom Penh, operaie giovani se non giovanissime svengono. Improvvisamente e in gruppo. Anche in cinquanta, in cento. Tutte insieme. Soprattutto in questo periodo, quando l’estate da noi è agli sgoccioli ma da quelle parti il clima tropicale caldo umido picchia duro con l’afa che si mescola al sudore della fatica, della mancanza di riposo, del poco cibo. E dell’umiliazione portata addosso appiccicata sulla loro pelle. Cadono a terra o si accasciano sui loro banchetti. Circa 2 mila casi di svenimenti l’anno negli ultimi cinque. Con l’arrivo di infermieri e lettighe fra aghi e pezzi di stoffa, in una sorta di stop forzati. Un malessere sempre più diffuso. Una ribellione a questa schiavitù che riguarda oltre 600 mila cambogiane. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero