Sono passati solo dieci anni ma è cambiato il mondo. Era una mattina di maggio del 2007 quando il sito del Messaggero andava on line per la prima volta. Un’altra...
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Nella redazione al terzo piano del palazzo di via del Tritone eravamo in quattro, con Piero Santonastaso alla guida, Antonio Lucchini e Massimiliano Gasperini, a cui si aggiunse poco dopo Rossella Cravero e poi negli anni tanti altri. C’era quell’entuasiasmo della scoperta, del fare una cosa nuova, di cercare strade non ancora battute, di sperimentare nuove forme di comunicazione. Noi al Messaggero non eravamo i primi a prendere la via dell’online, in diversi ci avevano preceduto. Ma c’era la convinzione di essere una piccola avanguardia, il giornale del futuro, come dicevano anche con un po’ di sarcasmo i colleghi della carta.
Il lavoro comunque si prospettava pieno di interessanti novità. Fra cui una che oggi, in tempi di sindrome da like diffusa, può sembrare banale ma che allora appariva rivoluzionaria. E anche potenzialmente distruttiva, certo. Si vedeva subito, e si poteva controllare poi in ogni istante, quanti click faceva ogni notizia. Cioè quanti lettori decidevano di leggere un articolo.
Quali potessero essere, e sono ancora, i pezzi più cliccati non c’è bisogno di spiegarlo. Ma fra i più letti c’erano sempre anche alcuni di quelli considerati più seri e la politica, contrariamente a qualche convinzione diffusa, piaceva e appassionava. Lo si vide subito anche quando poco dopo cominciammo a far commentare i lettori, prima via mail poi direttamente sotto il pezzo poi, anni dopo, anche su Facebook. I commenti erano già tanti ed erano l’incubo di noi redattori: si leggevano uno ad uno in redazione ed era una grande fatica.
Negli anni il sito si è rinnovato continuamente ed è molto cresciuto, passando da poche decine di migliaia di visitatori al giorno a punte di diversi milioni. I social poi hanno completamente cambiato il modo in cui ci informiamo. Rimpiangere i tempi andati come è noto è inutile. E’ anche certo però che convincere i lettori, soprattutto se giovani, a pagare per avere informazione di buona qualità è sempre più difficile. Nessuno ha ancora trovato la formula giusta, ma di sicuro di buon giornalismo e di giornalisti appassionati ci sarà sempre bisogno. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero