Il crac obbligazioni/Più prevenzione, non bastano le sole sanzioni

Il crac obbligazioni/Più prevenzione, non bastano le sole sanzioni
Il filosofo Hegel insegnava che la tragedia di un conflitto non risiede nell’aver una parte ragione e l’altra torto, ma nell’avere entrambe ragione. Potremmo...

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Il filosofo Hegel insegnava che la tragedia di un conflitto non risiede nell’aver una parte ragione e l’altra torto, ma nell’avere entrambe ragione. Potremmo dire la stessa cosa quando hanno torto tutte e due. Se poi le parti sono numerose, il problema è ancora più complicato. Nel grottesco scaricabarile delle sofferenze bancarie queste responsabilità vengono rinfacciate - a turno - ai vari protagonisti, ed è impossibile tirare una linea netta tra i torti e le ragioni. Ma proviamo a farlo esponendo, per quanto possibile, quelle degli uni e degli altri: i risparmiatori, le banche, gli organi di vigilanza, il governo. Diciamo subito che, quanto a quest’ultimo, una volta tanto può legittimamente chiamarsi fuori: quantomeno in relazione ai rapporti specifici tra banca e cliente, non è mai intervenuto (né avrebbe potuto) e se adesso cerca di salvare il salvabile lo fa, comprensibilmente, per ragioni umanitarie verso i piccoli detentori di titoli stracciati.

Dunque, primo: i risparmiatori. Non sono tutti uguali. Chi ha sottoscritto azioni od obbligazioni confidando in guadagni superiori, magari di molto, agli ordinari tassi di reddito, lo ha fatto a proprio rischio.

È possibile che siano stati invogliati dall’abilità dei funzionari, ma questo è fisiologico. I romani dicevano che il diritto soccorre chi vigila, non chi dorme, e se uno non sta attento ai propri interessi, “imputet sibi”: colpa sua. Purtroppo non è andata sempre così. Se un anziano pensionato ha firmato dei moduli confidando nelle assicurazioni del “consulente” che gli ha fornito dati fasulli, siamo in presenza di una truffa. E se un imprenditore ha sottoscritto sotto la minaccia del mancato rinnovo del fido, si può arrivare all’estorsione. Come si fa a distinguere tra le varie ipotesi? Risposta facile ma sconfortante: bisogna vedere caso per caso.

Secondo: le banche. Non essendo organismi di beneficenza né di mutuo soccorso, tendono istituzionalmente al profitto, e di questo il cliente è, o deve essere, consapevole. Quando vendono un prodotto lo fanno, come qualsiasi mercante di tappeti, magnificando la propria merce, ed anche questo è un fatto notorio. Sempre i romani dicevano che è lecito tra chi fa affari “sese invicem circumvenire” (ingannarsi reciprocamente). Ma se questa consuetudinaria spregiudicatezza si trasforma in artifizi e raggiri, diventa reato. E di questo abbiamo già detto. Ma c’è altro. Le banche, per la loro peculiare e delicata attività, sono soggette a vigilanza, e hanno l’obbligo di riferire periodicamente alla Banca d’Italia tutte le posizioni di rischio, e altre ancora. Se queste comunicazioni sono fasulle, gli amministratori commettono il grave delitto previsto dall’art 2638 del codice civile, che prevede, se si tratta di episodi ripetuti, oltre dieci anni di galera.

Di più. Anche la banca è chiamata in proprio a risponderne, con le gravissime sanzioni pecuniarie previste dall’art 25 ter del D.Lvo 231 del 2001. Come lo si accerta? Attraverso un’indagine penale che finirà inevitabilmente in Cassazione. Campa cavallo.
Terzo. Gli organi di vigilanza. Banca d’Italia e Consob sono destinatarie di questi flussi informativi, che devono esser veritieri e corretti, da parte degli istituti di credito. Ma vigilare significa, appunto, vigilare, e non dormire. E poiché bisogna pur prevedere che una banca trasmetta informazioni ingannevoli, compito del vigilante è quello di attivarsi per scoprire gli eventuali amministratori infedeli. Questo compito è stato assolto, e assolto al meglio? Bella domanda: il tempo dirà.

In questo colossale pasticcio è vano dare la colpa al governo che, come s’è detto, cerca di tappare qualche buco, magari esagerando nel distribuire le colpe senza prima conoscere i fatti. Anche più grottesco è accusare l’Unione Europea, le cui norme abbiamo sempre approvato senza battere ciglio: forse a Bruxelles non tutti sono in buona fede verso l’Italia e probabilmente
c’è chi esagera in rigore; tuttavia, meglio sarebbe interrogarsi su cosa si può fare per il futuro.

Dimostrato ancora una volta che la minaccia della sanzione non serve a nulla, bisognerà agire sulla prevenzione, dopo avere compreso, senza preconcetti e pregiudizi, che cosa non ha funzionato. L’aver imposto la trasformazione delle banche popolari, che di popolare non avevano più nulla, in società per azioni, è stato già un buon inizio. Forse non l’inizio della fine di questo regime allegro, ma almeno la fine dell’inizio.
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Il Messaggero