'Ndrangheta, arrestato il latitante Antonino Pesce

'Ndrangheta, arrestato il latitante Antonino Pesce
La sua prima preoccupazione è stata quella di essere stato «venduto» da qualcuno dei suoi. «Vi è arrivata la chiamata?». Ma Antonino Pesce,...

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La sua prima preoccupazione è stata quella di essere stato «venduto» da qualcuno dei suoi. «Vi è arrivata la chiamata?». Ma Antonino Pesce, boss 34enne dell'omonima cosca di Rosarno, latitante dal luglio scorso, in carcere non c'è finito perché tradito, ma per il fiuto e la conoscenza del territorio dei carabinieri che la notte scorsa lo hanno bloccato in un appartamento dove si trovava insieme alla compagna ed ai figli di 3 anni e sei mesi. Un arresto salutato con soddisfazione dai ministri dell'Interno, Marco Minniti, e della difesa, Roberta Pinotti. Era da mesi che gli investigatori del reparto operativo di Reggio Calabria, guidati dal col. Vincenzo Franzese, e quelli della Compagnia di Gioia Tauro, seguivano le mosse di familiari e conoscenti di Pesce, l'ultimo dei latitanti della famiglia.

Da quando, cioè, Antonino si era sottratto alla cattura - per associazione mafiosa e traffico internazionale di sostanze stupefacenti - in un'operazione della Guardia di finanza che aveva portato al sequestro, a Gioia Tauro, di una nave il cui comandante sarebbe stato assoldato dall'organizzazione ed al ritrovamento di 83 chili di cocaina. E proprio l'importazione di cocaina dal Sudamerica, secondo gli inquirenti, era uno degli affari seguiti per conto della cosca da Antonino Pesce, ritenuto il reggente del clan - uno dei più potenti della Calabria e ramificazione nel nord Italia - dopo gli arresti che hanno decimato la sua famiglia. Era lui che si occupava dell'approvvigionamento delle risorse finanziarie. E per farlo, è l'accusa della Dda reggina, si occupava dell'esfiltrazione della droga che altri importavano nel porto di Gioia Tauro nascosta nei container.

Quindi Pesce amministrava le risorse finanziarie e le distribuiva ai vertici della cosca detenuti ed ai loro familiari. Inoltre era lui che curava i rapporti con le altre famiglie, in particolare quelle dei Bellocco e dei Molè. Partendo da questo dato, gli investigatori hanno seguito i movimenti di chi stava a lui vicino. La svolta è arrivata un paio di giorni fa. Grazie alla conoscenza del territorio, i carabinieri si sono resi conto che in un certo appartamento, nel quale avrebbe dovuto vivere una sola persona, c'era uno strano movimento. E così hanno deciso di approfondire. Si sono armati di telecamere ed hanno iniziato un servizio di osservazione a distanza, intensificando anche la vigilanza nella zona. Nella tarda serata di ieri, i carabinieri si sono convinti della presenza di Pesce nell'appartamento e poco dopo mezzanotte hanno fatto scattare il blitz cui ha partecipato anche lo Squadrone cacciatori Calabria.


Quando i carabinieri hanno fatto irruzione, Pesce ha gettato una pistola - risultata rubata nel 2015 a Civitanova Marche (Macerata) - dalla finestra, poi si è fatto ammanettare senza opporre resistenza insieme al proprietario dell'appartamento, Tonino Belcastro, di 53 anni, già noto alle forze dell'ordine, accusato di favoreggiamento personale. Ma non è riuscito a trattenere la sorpresa per essere stato individuato in un luogo che, evidentemente, non usava spesso. Ed è così che ai militari ha detto: «Vi è arrivata la chiamata?».
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Il Messaggero