«Eravamo in 950. C'erano anche duecento donne e 50 bambini con noi. In molti erano chiusi nella stiva». Sono morti come...
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Sono morti come topi in gabbia. Sono andati giù, in fondo al mare, senza neanche poter provare a salvarsi, ad aggrapparsi ad un pezzo di legno, al braccio di qualcuno. Sono morti senza poter lanciare un ultimo, disperato, urlo.
Non c'è fine all'orrore nel canale di Sicilia. Non c'è fine alla cattiveria dell'uomo. La strage di Lampedusa doveva segnare il punto di non ritorno; il «mai più» che papa Francesco, proprio da quell'isola bella e dannata, lanciò al mondo. E invece è arrivata la strage definitiva: perchè è come se in mezzo al Mediterraneo fossero caduti, tutti insieme e nello stesso punto, almeno 6 aerei. Perchè di fronte a 700-900 morti, che si vanno ad aggiungere ai 950 dall'inizio dell'anno, qualsiasi parola che non sia 'bastà suona vuota e inutile. E allora bisognerebbe ascoltarle davvero le parole di chi sopravvive all'orrore.
Eccole, sono di un giovane del Bangladesh che è tra i 28 sopravvissuti: «siamo partiti da un porto a cinquanta chilometri da Tripoli, ci hanno caricati sul peschereccio e molti migranti sono stati chiusi nella stiva. I trafficanti hanno bloccato i portelloni per non farli uscire». Lo sanno tutti che funziona così: sotto ci vanno i paria, i senza diritti, quelli che pagano meno perchè hanno meno soldi. Ma anche i più deboli, le donne sole con i bambini. Perchè anche tra i disperati c'è chi è più disperato. Chi sta là sotto ha meno di 20 centimetri a disposizione, spesso l'acqua è mischiata con la nafta per consumarne di meno, la notte è nera che più nera non si può. Non ti muovi: muori fermo.
A Lampedusa, quando hanno tirato fuori i morti che erano rimasti nella stiva, li hanno trovati ancora accucciati. I bambini abbracciati alle mamme. Ne sono arrivati decine di pescherecci così, con i migranti infilati - letteralmente - dai trafficanti anche tra le macchine. E una barca così è una bomba ad orologeria, basta un movimento sbagliato e non c'è speranza. Ed è quello che è accaduto. Almeno secondo il racconto del comandante del mercantile portoghese King Jacob che per primo è stato dirottato nella zona. «Stavamo navigando nella loro direzione - ha detto l'uomo ai nostri soccorritori - Appena ci hanno visto si sono agitati e il barcone si è capovolto. La nave non lo ha urtato, si è rovesciato prima che potessimo avvicinarci e calare le scialuppe».
In quei momenti era già tutto compiuto. Chi ha potuto, chi era sul ponte, ha gridato, ha tentato di aggrapparsi a qualcosa. qualsiasi cosa. Ma in molti non hanno neanche capito quel che stava accadendo. Chi era nella stiva ha sentito solo il rumore sinistro del legno marcio che si frantuma e ha visto l'acqua entrare tutt'assieme, fredda e assassina. E poi il silenzio della morte. «C'è soltanto nafta e detriti, pezzi di legno che vanno alla deriva e qualche salvagente. Non troviamo più nulla dalle 10 di questa mattina» racconta uno di quelli che da 20 ore sta disperatamente cercando di salvare qualcuno. In zona sono stati dirottati anche diversi pescherecci.
In uno di questi c'era il comandante Giuseppe Margiotta. «Ci hanno chiamato dalla centrale operativa e ci hanno chiesto di mollare la pesca e di andare a salvare delle persone. E noi come sempre, non ci siamo tirati indietro. Ma di vivi non ne abbiamo visti. Abbiamo trovato quattro cadaveri e abbiamo atteso le autorità che arrivassero per prenderli». Ma forse qualcun altro vivo c'è ancora. «Non se ne trovano più vivi - dice il comandante - sono andati tutti sotto. Magari c'è ancora qualcuno aggrappato a qualcosa, ma quanto vuoi che resista».
Quando arriva il buio ti devi fermare per forza, non puoi più cercare. «Ogni volta speri.
Il Messaggero