Napoli, neonata con la sindrome di Down lasciata nella culla termica dell'ospedale

Ha quattro mesi ed è una bambina dell'est Europa con sospetta sindrome di down. E' stata lasciata nella culla termica «Ninna ho» del Policlinico...

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Ha quattro mesi ed è una bambina dell'est Europa con sospetta sindrome di down. E' stata lasciata nella culla termica «Ninna ho» del Policlinico Federico II di Napoli. È accaduto ieri intorno alle 13.30. Appena scattato l'allarme della Terapia Intensiva Neonatale della struttura ospedaliera, il medico di guardia Letizia Capasso, ha soccorso la bambina, attivando il trasporto della piccola nel reparto di Neonatologia del Policlinico Federico II. La bimba è in buone condizioni. Si tratta del secondo caso a Napoli avvenuto nel 2017. Lo scorso agosto, nella culla del Policlinico federiciano è stato lasciato il piccolo Alessandro, tempestivamente curato dall'equipe medica del nosocomio. «Ninna ho» della Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus e del Network KPMG in Italia, è il primo progetto nazionale nato nel 2008 contro l'abbandono neonatale, che ha ricevuto il patrocinio del ministero della Salute e della Società italiana di neonatologia. L'obiettivo è diffondere, a tutte le donne, il messaggio contenuto nella normativa italiana che consente alle future mamme, italiane o straniere in grave difficoltà, di poter partorire in anonimato e sicurezza, per la propria salute e per quella del nascituro, presso tutte le strutture ospedaliere pubbliche, con assistenza sanitaria qualificata e senza essere giudicate.

«Ninna ho», attraverso l'installazione di culle termiche, posizionate in un luogo facilmente raggiungibile di alcuni ospedali, intende offrire un'alternativa alle madri che, per gravi motivi, arrivano alla dolorosa scelta di separarsi dal proprio bambino. In tal senso, le culle rappresentano un aiuto per scongiurare gesti disperati, come l'abbandono in strada o nei cassonetti e salvare vite umane più deboli e indifese, come quelle dei neonati, proprio come avvenuto presso il Policlinico Federico II di Napoli.

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Il Messaggero