Napoletani scomparsi, il terrore della macelleria messicana

Angoscia. Non c’è parola che più drammaticamente possa descrivere lo stato d’animo di chi attende il ritorno a casa dei propri cari. Tre napoletani...

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Angoscia. Non c’è parola che più drammaticamente possa descrivere lo stato d’animo di chi attende il ritorno a casa dei propri cari. Tre napoletani scomparsi dal 31 gennaio in una sperduta regione centrale del Messico: lo stato di Jalisco. Quarantott’ore fa i media locali hanno diffuso una notizia agghiacciante: cinque cadaveri smembrati sono stati scoperti dalla polizia; erano dentro buste di plastica lasciate all’interno di un Suv rosso parcheggiato a bordo di un sentiero rurale nei dintorni di Chilapa, nello stato messicano di Guerrero, nel Sudest del paese. I resti umani sono stati ritrovati da residenti del luogo, che si dirigevano verso il tradizionale mercato settimanale di Chilapa.


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Gli specialisti della polizia scientifica che li hanno esaminati hanno avvertito che, dato lo stato in cui si trovano, sarà difficile identificarli. Questa notizia ha spinto uno dei legali che assistono i familiari dei tre napoletani scomparsi (Raffaele Russo, suo figlio Antonio ed il nipote Vincenzo Cimmino), l’avvocato Luigi Ferrandino, ad avanzare le procedure legali internazionali per chiedere che su quei poveri resti venga eseguito l’esame del Dna, comparato con i codici genetici dei nostri connazionali svaniti nel nulla. Macelleria messicana. Con questo ritrovamento sale a 205 il numero di omicidi registrati nella sola provincia di Chilapa durante il 2017, il che pone la piccola località al secondo posto nella lista delle località messicane con il maggior numero di morti violente, subito dopo Acapulco. Secondo la stampa locale, questa ondata di violenza è conseguenza di una faida fra due gruppi criminali - Las Ardillas e Los Rojos - in lotta per il controllo della distribuzione della cosiddetta «gomma di oppio», prodotta dalla prima elaborazione del papavero da oppio, che serve per la fabbricazione dell’eroina.

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Le indagini. Più passa il tempo e più si definiscono i contorni della vicenda sui tre napoletani scomparsi tra Ciudad Guzman, Tecalitlan e la tierra del diablo, che vede in un derelitto villaggio montano chiamato Jilotlan de los Dolores - luogo già tristemente noto e finito al centro di inchieste sul narcotraffico gestito dai temibili clan messicani - una delle più proficue centrali di produzione di eroina, cocaina e crak. Si conferma purtroppo il quadro investigativo anticipato dal «Mattino» sin dai primi giorni successivi alla pubblicazione della scomparsa dei napoletani. A determinare il sequestro di persona dei connazionali sarebbe stata una vendetta.

 


Fidandosi probabilmente della persona sbagliata, Raffaele Russo avrebbe commesso un unico, fatale errore: vendendo quei generatori elettrici di pessima qualità (spacciati per originari modello «Caterpillar») di fabbricazione cinese a qualche ras che gestisce le raffinerie sperdute nelle selve impenetrabili di Jalisco. Il cartello dei «cannibali». Già nel luglio scorso la Procura locale aveva lanciato l’allarme. Due sedicenni finiti in una retata della polizia federale avevano ammesso di essere entrati a far parte della gang criminale denominata «Cartél Jalisco Nueva Generation», che dopo una lunga faida aveva vinto la sua guerra scalzando il gruppo rivale dei «Los Zetas» ed assumendo di fatto una posizione egemone e dominante in tutta la regione centrale dello Stato centroamericano. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero