La tela di Minniti, dalla Grande Moschea ai segnali di unità nazionale modello dem

Minniti (ansa)
Era stato in Vaticano a spiegare la sua strategia sui migranti. E Oltretevere piace. Ora Marco Minniti si è recato per la prima volta, «con grande emozione»,...

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Era stato in Vaticano a spiegare la sua strategia sui migranti. E Oltretevere piace. Ora Marco Minniti si è recato per la prima volta, «con grande emozione», alla Moschea di Roma e anche qui il pop-ministro tutto democrazia e legalità, inclusione e rigore ha fatto il pieno dei consensi. Sorrisi, foto, applausi, per le sue parole su Islam e Costituzione che «non sono incompatibili» e sull'integrazione che «garantisce la sicurezza di tutti». Ma appena all'esterno si tocca l'argomento del governo dell'unità nazionale, che lui ha lanciato e in cui s'è detto disponibile a partecipare (o magari a guidare?), il ministro si schermisce. Ed è un suo classico, quando si parla di ambizioni.


Ricorre spesso a una citazione di Antonio Gramsci: «Il compito di una classe dirigente non è quello di mantenere la propria posizione per il proprio controllo della società ma per il proprio superamento». Però, da comunista doc sia pure ex, Minniti non può non conoscere bene la teoria della goccia cinese. E a poco a poco, con determinazione e dissimulazione, il titolare del Viminale sta assumendo un ruolo politico sempre più centrale. Eccolo mentre smorza («Ho solo detto, banalmente, che se il mio partito fa parte del governo di unità nazionale, cosa diversa dalle larghe intese, potrei esserci anch'io») e mentre mitiga («Ritengo improbabile un esecutivo di questo tipo, ma spetta al Capo dello Stato decidere»). Però intanto il messaggio lanciato l'altro giorno resta: lui è pronto, lui ci sarà. Anche se non è affatto detto che un eventuale governissimo avrà una guida Pd, specie in caso di buona affermazione del centrodestra.

A PIEDI SCALZI
Successo alla moschea, dove è entrato a piedi scalzi e tra l'altro ha lodato il Papa: «Con i suoi gesti profetici ha spiegato al mondo che non si può uccidere in nome di Dio», e successi un po' ovunque per Minniti ormai. «Si sente un beato», sostiene qualcuno nel Pd. E secondo una scuola di pensiero starebbe impensierendo Renzi. I cui fedelissimi tendono però ad escludere la cosa: «Marco ha solo detto in chiaro, affermando la possibilità di un governissimo, un'ipotesi che, stando agli attuali sondaggi, può verificarsi se il Capo dello Stato lo ritiene». Dunque, nessun contrasto - semmai un rapporto da potenza a potenza - tra l'ex premier e l'attuale ministro. Il che sarebbe confermato dal fatto che domani, alla trasmissione domenicale di Lucia Annunziata, Renzi ha voluto che insieme a lui in tivvù andasse proprio Minniti. Lo stesso che, giorni fa, ha detto - suscitando un certo clamore - di aver consigliato al segretario del Pd di non pensare a un ritorno (improbabile) a Palazzo Chigi ma di andare in Europa. Magari come uno dei due commissari Ue che, dopo le elezioni europee del 2019, spetteranno all'Italia?

LA RETE

Uscendo dalla moschea, Minniti dà però l'impressione di non appassionarsi alla questione degli schemi di governo. «Diciamo che faccio un altro mestiere. Mi occupo di sicurezza e di flussi migratori». Insomma Minniti cerca di rappresentarsi nella maniera sintetizzata da questo aneddoto: «Quando ero nella sede del Pci a Reggio Calabria, la mia città, avevo attaccato un cartello fuori dalla porta: qui si lavora, non si fa politica». Ma quelli ormai sono tempi preistorici. Al giorno d'oggi, Minniti è l'unico politico non 5 stelle che i grillini non attaccano. In un'ipotesi di unità nazionale questo particolare conta, anche se il partito di Di Maio (tutto?) resterebbe fuori da questo schema. E ancora: la rete che si è venuta formando intorno a Minniti è larga, e rappresenta un punto di forza innegabile. Si va dal Vaticano all'Islam italiano, dalla Cgil (Camusso che non ama troppo il Pd apprezza assai Minniti e uno dei suoi più stretti collaboratori, Achille Passoni marito della ministra Fedeli proprio dai vertici del sindacato proviene) al cuore del berlusconismo (Letta e Confalonieri), dai sindaci a pezzi di Stato e di burocrazia che apprezzano Marco il concreto. Il quale cerca di stare con i piedi per terra, ma un po' sembra camminare sulle acque. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero