Quei militari eroi non lo meritano

Quei militari eroi non lo meritano
Ma come, ufficiali della Marina sarebbero responsabili del mancato soccorso e della morte di profughi? Responsabili della morte di profughi stipati in un peschereccio...

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Ma come, ufficiali della Marina sarebbero responsabili del mancato soccorso e della morte di profughi? Responsabili della morte di profughi stipati in un peschereccio affondato nell’ottobre del 2013? C’è da rimanere stupiti, se si pensa allo sforzo organizzativo ed all’impegno che si è assunto da anni il nostro Paese, in una continua e rischiosa azione di salvataggio delle migliaia e migliaia di persone che affrontano in condizioni disperate il mare per tentare di raggiungere le nostre coste.


Imbarcazioni del tutto insicure, spesso inidonee ad affrontare una qualsiasi traversata, vengono quotidianamente soccorse non per un occasionale intervento, determinato da una episodica difficoltà di navigazione, ma in una sistematica attività di controllo, coordinamento e pattugliamento del mare, preordinato all’aiuto di chi si trova in difficoltà. In questa opera la Marina militare è in prima linea, non senza rischio personale di quanti vi sono addetti, i quali svolgono il proprio compito con esemplare generosità e riconosciuto spirito umanitario.

La Procura della Repubblica di Roma ha ritenuto di dover procedere, iscrivendo nel registro degli indagati ufficiali impegnati nella centrale operativa del Comando generale delle Capitanerie di porto, per una delle più tristi disgrazie avvenute nei nostri mari. Colpisce e addolora ancora che il naufragio del barcone, gravato da un carico eccessivo, abbia portato alla morte oltre 250 persone, tra le quali molti bambini, mentre rallegra che oltre 200 siano state salvate grazie all’intervento della nostra Marina. Eppure si ipotizza che quelle tragiche morti, si sarebbero potute evitare se l’intervento fosse stato tempestivo, mentre ritardi si sarebbero verificati per errori nel coordinamento delle operazioni, anche a seguito del rimpallo di competenze tra la Marina italiana e quella di Malta, nel rispetto delle regole del diritto internazionale. Tuttavia da qui ad arrivare all’omissione di soccorso e all’omicidio colposo, sono questi i reati contestati, ce ne corre. 

L’omissione di soccorso presuppone l’intenzionale mancato compimento di una azione di aiuto che si ha il dovere di compiere, e sembra davvero paradossale ritenere che chi è istituzionalmente impegnato nell’opera di salvataggio in mare, ed ha operato a questo fine, sia considerato dolosamente inerte per non prestare soccorso a chi versava in una situazione di pericolo.

Il reato di omicidio colposo riguarda la morte, non voluta, ma cagionata da una condotta negligente, imprudente, o non rispettosa delle regole che si è tenuti ad osservare. Non sarebbero stati rispettati i protocolli relativi alle operazioni di salvataggio in mare? Questa è una valutazione difficile, che deve essere effettuata riportandosi al contesto temporale ed alle condizioni nelle quali si è svolta la vicenda. Non si può valutare oggi a tavolino, con tranquillità e freddezza, che cosa di meglio e di più efficace si sarebbe potuto o dovuto fare per coordinare al meglio le azioni di soccorso. Come pure è difficile affermare che un comportamento diverso da quello tenuto avrebbe evitato molte morti.


Tutto questo è ora oggetto di indagine. La iscrizione nel registro degli indagati non è ancora esercizio dell’azione penale. Il pubblico ministero svolge gli accertamenti che considera utili per valutare la fondatezza di una denuncia o della notizia di reato, compresi quelli su fatti e circostanze favorevoli alla persona sottoposta ad indagini. Questa fase del procedimento non è ancora la elevazione di una imputazione e può concludersi anche con una richiesta di archiviazione, se all’esito degli accertamenti il pubblico ministero ritiene che la ipotesi di reato è infondata. Auspichiamo che le indagini siano sollecite e che questo possa esserne l’esito. La condizione di “indagato” implica una situazione di sospetto e di incertezza che colpisce la persona, e che andrebbe sempre sollecitamente chiarita. In questo caso l’esigenza di un sollecito chiarimento assume anche contorni istituzionali. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero