MILANO Per quarant’anni della sua vita ha fumato oltre un pacchetto e mezzo di sigarette al giorno, che significa quasi un milione di “bionde” aspirate. A 54...
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PROVOCA IL CANCRO
«E’ la prima volta in Italia che ai parenti di un tabagista vengono riconosciuti i danni per la perdita di un loro congiunto», spiegano gli avvocati Angelo Cardarella e Carlo Gasparro, legali della moglie di Scippa e dei suoi tre figli. E anche al fumatore deceduto, rimasto un mese in un letto di ospedale e risarcito per «la grave sofferenza anche psichica connessa alle sue condizioni e alla consapevolezza dell’imminente morte». Perno della sentenza firmata dal giudice Stefania Illarietti è il 1991, anno in cui «fu previsto per legge l’obbligo di vendere tabacchi, e quindi anche le sigarette Malboro» fumate da Antonio Scippa, stampando sui pacchetti «esplicite informazioni circa la nocività e il carattere letale del fumo». L’uomo ha sviluppato il tumore prima di quella data, dunque «non è stato messo in condizione di conoscere inequivocabilmente il rischio» correlato al fumo e «di poter in tal modo configurare l’assunzione come libera scelta assunta nella consapevolezza della nocività del prodotto». Vero che fin dalla metà degli anni ’60, quando Scippa cominciò a fumare, gli effetti negativi del tabacco sulla salute erano conosciuti, tuttavia gli studi che mettevano in correlazione il cancro ai polmoni con il tabacco erano ancora agli albori. La scienza nel frattempo è progredita e le perizie della difesa hanno evidenziato che «la predominanza del ruolo del fumo quale fattore determinante il carcinoma broncogeno è una verità incontrovertibilmente acquisita dall’esperienza e dalla letteratura mondiale da oltre trent’anni».
ASSUEFAZIONE
Non solo: gli esperti hanno valutato le conseguenze dell’assunzione di tabacco nell’arco dell’esistenza di Scippa, considerando il periodo tra il ’65 e il 1991 (quando sui pacchetti comparvero le scritte) e dal ’91 al 2004 anno in cui morì. Conclusione: «I 26-27 anni in cui Scippa ebbe a fumare prima dell’entrata in vigore della norma sono molto più rilevanti dei 13-14 del periodo successivo» e che la prima fase di dipendenza dal tabacco «è circa 20 volte più rilevante rispetto alla successiva». Alla fine per Antonio Scippa è stato troppo tardi, perché «l’assuefazione indotta dal fumo, pur non annullandola, ha inciso negativamente sulla libera determinazione di Scippa in relazione all’assunzione di tabacco dopo il ’91». Per questo secondo arco di tempo fino al 2004 viene riconosciuta dunque solo una parziale responsabilità dell’uomo. Il giudice infatti calcola che «al danno abbia concorso nella misura stimata del 20% la condotta dello Scippa, che continuò a fumare» ignorando gli allarmanti avvisi stampati dai produttori. Il Tribunale non ravvisa invece alcuna responsabilità di Philip Morris Italia, proprietaria del marchio Malboro, dato che la società è stata costituita nel 2001, mentre British American Tobacco viene condannata in quanto raccoglie onori ed oneri dell’Eti. Come rileva il giudice: «Tutti i rapporti afferenti alle attività produttive e commerciali dei Monopoli di Stato sono di competenza della Eti e quindi di British American Tobacco». Che ricorrerà in Appello, ma intanto deve pagare. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero