I corpicini giacciono distesi sulla spiaggia rocciosa, il volto coperto pietosamente con un cappellino di lana o con gli stessi giubbotti salvagente che avrebbero dovuto aiutarli...
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«C'è un genocidio in mare quotidiano di bambini al quale ci stiamo colpevolmente assuefacendo», denuncia Unicef Italia, che torna a chiedere «corridoi umanitari sicuri e l'istituzione di una giornata di lutto in tutti i paesi europei». L'ultimo naufragio si consuma quando un barcone di 17 metri con a bordo oltre cento persone - soprattutto siriani, ma anche afgani e birmani - finisce contro le rocce, dopo aver percorso poche centinaia di metri in mare. Un incidente avvenuto nonostante le condizioni meteo relativamente buone rispetto ai giorni scorsi. Partito dalla costa turca di Ayvacik, era diretto all'isola greca di Lesbo, distante circa 8 km. I soccorsi della Guardia costiera di Ankara intervengono con 3 navi, un elicottero e una squadra di sommozzatori, che avviano le ricerche sul relitto parzialmente sommerso e incagliato tra le rocce. Le persone soccorse sono 75, molte vengono portate in ospedale in stato di ipotermia.
Diversi sono i corpi intrappolati nel barcone affondato, portati a riva a fatica. Le agenzie locali riportano la notizia dell'arresto di un sospetto scafista turco che avrebbe organizzato la traversata, ma non ci sono conferme ufficiali. La nuova tragedia del mare si consuma a poche ore dall'avvertimento lanciato dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni, che ieri ha parlato di un «aumento a un tasso allarmante» delle morti nell'Egeo, mentre nel 2016 si contano già più di 55mila sbarchi sulle coste elleniche. Un fenomeno che tocca sempre più profondamente anche le popolazioni di Grecia e Turchia, i due Paesi più coinvolti dai viaggi della speranza. Venerdì, Ankara aveva aggiornato il numero dei siriani presenti nel suo territorio, che ha superato i 2 milioni e mezzo, con quasi 70mila profughi nati in Turchia dall'inizio della guerra. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero