Migranti, i fondi dell'Europa: «Seimila euro a profugo»

Migranti, i fondi dell'Europa: «Seimila euro a profugo»
ROMA Non soltanto la previsione di sanzioni per chi rifiuti la redistribuzione dei migranti, il nuovo Piano della Commissione europea prevede anche un sostegno per i paesi che, in...

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ROMA Non soltanto la previsione di sanzioni per chi rifiuti la redistribuzione dei migranti, il nuovo Piano della Commissione europea prevede anche un sostegno per i paesi che, in base ai criteri stabiliti dalla stessa Ue, saranno obbligati ad accogliere i richiedenti asilo: seimila euro per ciascuna delle 156mila persone che, partendo da Grecia, Ungheria e Italia, sarà trasferita negli Stati Ue sottoposti a minore pressione dall'emergenza. Mentre 500 euro, per le spese di ciascun trasferimento, saranno destinate ai paesi di partenza. La commissione sta delineando anche i criteri per stabilire le quote della redistribuzione anche se sull'ambizioso piano continua a pesare la minaccia della posizione assunta dai partner dell'Est.






SOLDI E QUOTE

Il conto della ”relocation” alla fine sarebbe di un miliardo e 14 milioni di euro. Almeno per la procedura urgente che l'Ue ha deciso di mettere in atto per fare fronte all'emergenza immigrazione. La Commissione, che l'8 settembre esaminerà la bozza, ha previsto di pagare ai paesi che accoglieranno i richiedenti asilo 6mila euro per ciascun migrante. Una cifra alla quale vanno sommati i costi di trasferimento da destinare a Grecia, Italia e Ungheria, gli stati sottoposti a maggiore pressione che beneficeranno delle nuove misure e incasseranno 500 euro per ciascuna persona in partenza. Al momento la cifra complessiva (che somma ai numeri del Piano licenziato a luglio dal Consiglio a quelli della nuova Agenda) è di 156mila persone da ridistribuire sul territorio: 66mila dalla Grecia, 54mila dall'Ungheria e 36mila dall'Italia.

Le percentuali di ”relocation”, cioè quale cifra ciascun paese dovrà accogliere, devono ancora essere calcolate. Ma nella bozza della Commissione sono già delineati i parametri che stabiliranno i numeri dell'accoglienza obbligatoria. Peserà al 40 per cento il numero degli abitanti del paese e, nella stessa percentuale, il pil, quindi la media dei richiedenti asilo per un milione di abitanti nel periodo che va dal 2000 al 2014 (calcolata sulla base di un 10 per cento, con il 30 per cento del tetto della popolazione e gli effetti sul pil) in percentuale identica inciderà il tasso di disoccupazione. Parametri applicati per le misure urgenti che poi dovrebbero essere utilizzati anche per la redistribuzione permanente sul territorio europeo.



I RISCHI

La minaccia continua ad essere costituita dal fronte orientale. La dichiarazione congiunta dei quattro di Visegrad (Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca), che ieri hanno escluso ogni ipotesi di ”relocation”, ha rappresentato un segnale chiaro. Di certo la Polonia, fino a ottobre, quando sono previste le elezioni, si manterrà sul fronte dell'opposizione alle scelte che vendono adesso sulla stessa linea Italia, Germania e Francia. Il rischio è che altri Stati come Lettonia e Lituania possano opporsi in sede di consiglio. I

l primo vaglio sarà comunque il 14 settembre quando, a Bruxelles, si incontreranno i ministri di Giustizia e Affari Interni. Il Piano Juncker, che prevede l'obbligo di accogliere i migranti, consentirà agli Stati di spiegare, con una nota informativa alla Commissione il rifiuto dei richiedenti asilo. Circostanza che determinerà sanzioni economiche proporzionali al pil. Ma l'Agenda contempla anche la possibilità, per l'esecutivo Ue, di respingere le argomentazioni contrarie degli stati e la conseguente imposizione del trasferimento dei migranti.



IL CONSIGLIO


Sarà il Consiglio, previsto per metà ottobre, a dire l'ultima parola, con maggioranza qualificata. Ma è probabile che i capi di Stato e di Governo vengano convocati prima in via straordinaria. Ieri è stata la Germania a chiederlo: «Sono convinto che abbiamo bisogno di un Consiglio, quello di metà ottobre arriverebbe troppo tardi», ha detto il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier.



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Il Messaggero