Migranti, l'Arabia Saudita ribadisce il divieto alle famiglie di "adottare" bambini siriani o iracheni

Bambini rimasti orfani in uno dei campi che ospitano profughi siriani in Libano
Mentre tutto il mondo ha ancora negli occhi l’immagine del corpo del piccolo Aylan riverso sulla spiaggia di Bodrum, l’Arabia Saudita ribadisce il proprio divieto alle...

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Mentre tutto il mondo ha ancora negli occhi l’immagine del corpo del piccolo Aylan riverso sulla spiaggia di Bodrum, l’Arabia Saudita ribadisce il proprio divieto alle famiglie saudite di adottare i piccoli orfani provenienti da paesi mediorientali tormentati dalla guerra, come la Siria o l’Iraq.




In realtà il divieto di adozione in paesi stranieri per le famiglie saudite esiste da sempre. Quando però, all’inizio di quest’anno, la questione dei bambini siriani rimasti orfani a causa della guerra è diventata una notizia da prima pagina anche in Arabia Saudita, alcune organizzazioni interne avevano proposto una sorta di soluzione di emergenza. La risposta del governo è stata però immediata, e dopo qualche giorno Latifah Al-Tamimi, direttore del Ministero per le Politiche Sociali per la provincia orientale del paese, ha dichiarato al sito di informazione saudita Arabnews che il Ministro non aveva alcuna intenzione di proporre l’affidamento o l’adozione di bambini provenienti da Siria e Iraq a famiglie residenti nel regno. “Ci sono organizzazioni umanitarie internazionali che devono occuparsi di queste situazioni” è stata la dichiarazione ufficiale dell’alto funzionario pubblico.



In realtà la questione dell’adozione nel mondo islamico è molto complessa. Sulla base dell’interpretazione di un passo del Corano (XXXIII: 4-5, 37-40) l’adozione nei diritto islamico è proibita e gli unici paesi musulmani che la permettono sono la Turchia, il Libano e la Somalia. Esiste però una pratica che permette di aggirare il divieto effettuando un riconoscimento fittizio di paternità. Un altro istituto utilizzato è quello della kafala, paragonabile all’affido o, più propriamente, a una forma di “tutela sociale”. In pratica ci si assume l’onere della tutela del minore che obbliga l’affidatario al suo mantenimento, alla sua educazione e alla sua protezione fino alla maggiore età, ma senza potergli dare il proprio nome né poterlo inserire nell’asse ereditario.



Con questa formula in Arabia Saudita vengono ogni anno “adottati” centinaia di orfani, ma nessuno di questi è nato al di fuori dei confini del Regno.


Un’apertura del Ministero saudita per le politiche sociali è rappresentata dall’appoggio a matrimoni con donne straniere che possono, così, ottenere la piena cittadinanza e devono (naturalmente) rispettare tutte le restrizioni che la condizione femminile nel paese comporta. La solidarietà dei sauditi nei confronti dei cittadini della propria regione, almeno a livello governativo, sembra aver decisamente bisogno di crescere ancora. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero