Tradito dalla sua stessa vanità. Joaquin El Chapo Guzman, il re del narcotraffico messicano, ricatturato ieri dopo che era rocambolescamente evaso da un carcere...
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Lo ha rivelato il procuratore generale messicano Arely Gomez nel corso di una conferenza stampa all'aeroporto di Città del Messico, in cui ha detto che El Chapo aveva già preso contatto con attrici e produttori. Ora ha detto ancora il procuratore Gomez, El Chapo verrà ricondotto nella stessa prigione di Altiplano da dove l'11 luglio scorso è fuggito attraverso un tunnel sotterraneo lungo un chilometro e mezzo. Una fuga spettacolare, che evidentemente secondo el Chapo meritava di essere raccontata in un film.
La polizia ha rivelato anche che sulle pareti della stanza dove il narcotrafficante si nascondeva c'era un poster della celebre modella Alessandra Ambrosio. Le foto della cattura lo ritraggono in una stanza d'albergo con la canottiera imbrattata dopo un tentativo di fuga attraverso la rete fognaria: ma quello che non è sfuggito agli osservatori è il poster di una modella appeso alle spalle di Joaquin "El Chapo" Guzman, il boss del narcotraffico messicano latitante dal luglio scorso.
Una vanità la sua, quella di essere attore e regista, che gli è costata cara, ma rispecchia anche l'interesse di cinema e tv verso il fascino criminale del narcotraffico. Non a caso Ridley Scott pensa a un film su di lui interpretato da Leonardo DiCaprio, e sui cartelli narcos, messicani e colombiani, sono tanti i titoli di serie tv come NARCOS e film come il recente SICARIO.
Intanto Scott girerà la versione cinematografica di The Cartel, romanzo di Don Winslow ispirato dalla vita di Joaquin Guzman, detto El Chapo (soprannome che viene da 'chaparrò, bassotto, per via del suo metro e 64 di altezza). È quanto almeno scrive Hollywood Reporter. Sul criminale anche un documentario ES EL CHAPO? del 2014 a firma di Charlie Minn e anche la popolare NARCOS, serie tv Usa creata da Chris Brancato, Carlo Bernard e Doug Miro per Netflix che racconta la dilagante diffusione della cocaina tra Stati Uniti ed Europa, grazie al cartello di Medellin. Dedicato al fenomeno dei cartelli della droga e le lotte tra narcotrafficanti messicani anche TRAFFIC di Steven Soderbergh (premio Oscar per la regia e a Benicio Del Toro come miglior non protagonista). Nel 1995 Gregory Nava racconta con MY FAMILY la storia di tre generazioni di immigrati messicani che si stabiliscono a East L.A., quartiere di Los Angeles.
Ancora prima, nel 2009, Cary Fukunaga esordisce alla regia con SIN NOMBRE un film che vince il Sundance Film Festival. Ovvero la storia di un ragazzo appartenente a una gang messicana. Oliver Stone si cimenta invece nel 2012 col romanzo di Don Winslow LE BELVE e ci porta a Laguna Beach, in California, dove si scontrano due giovani produttori in proprio di marijuana e un cartello messicano che non vuole concorrenza. È italiano, almeno per sceneggiatura e regia ESCOBAR: PARADISE LOST di Andrea Di Stefano che racconta gli anni in cui il boss colombiano spadroneggiava continuando ad esportare quintali di droga. Infine, anche un capolavoro come NON È UN PAESE PER VECCHI dei Coen racconta la frontiera sulla scorta di un romanzo di Cormac McCarthy. C'è Josh Brolin, saldatore texano e veterano del Vietnam, che trova 2 milioni di dollari provenienti dal traffico di droga e decide di tenerseli. Recentissimo, infine, SICARIO di Denis Villeneuve. Ovvero la lotta ai cartelli del narcotraffico messicani affidata addirittura ai Navy Seal.
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Il Messaggero