Chi l'ha visto testimonia che il sorriso che aveva sempre sul volto lo ha accompagnato fino all'ultimo istante. Quello in cui Marco Berti, non dimenticato collega di...
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Tra queste non certo quella che lo rese noto nell'ambiante giornalistico italiano e non solo, la mattina del 9 maggio 1978 quando si trovò per primo, da reporter della Gbr, assieme a un cameraman e a un fotografo della stessa emittente, a testimoniare e a fotografare il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro a via Caetani.
Foto che fecero il giro del mondo e furono dovute alla sagacia di Marco e dei due suoi colleghi che si intrufolarono sul terrazzo di un vicino condominio prima che la zona venisse totalmente bloccata dalle forze dell'ordine. Lo scoop gli aprì le porte della Rai, da cui passò al Messaggero a condividere, prima al servizio politico e poi agli esteri, un'esperienza professionale e umana che nessuno di noi ha dimenticato.
Marco aveva anche un altro - questo non invidiabile - primato: era stato il primo giornalista italiano a subire un trapianto di cuore nel 2003. Gli siamo stati in tanti vicini nella circostanza, ricambiati dal suo indefettibile ottimismo. Lo stesso che lo ha accompagnato nell'ultima malattia che lo ha portato alla fine e che non era dovuta al cuore ma ai reni, per cui ha affrontato una lunga terapia di dialisi.
Gli ultimi sei mesi ricoverato a Villa Pia, si era guadagnato il soprannome di leone per il coraggio con cui affrontava le pesanti sedute di dialisi, confortato dalla presenza della moglie Carla e della figlia Giada e dall'assistenza «encomiabile» del professor Rossini, sempre disposto a ingaggiare, lui romanista, un duello con la fede calcistica di Marco diviso tra la natìa Bologna e la Juve. Le sue ultime parole in sintonia con la disinvoltura di sempre: alla moglie che, l'ultima sera, lo incoraggiava a «non avere paura», rispose: «Ok bella».
La cerimonia funebre al tempietto egizio del Verano nella giornata di mercoledì 11 gennaio alle 15.
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Il Messaggero