M5s, firme false grilline: sospetti sulle regionali

M5s, firme false grilline: sospetti sulle regionali
Non si placa la bufera sul caso firme che ha investito il M5S. Tanto per cominciare, le autosospensioni dei deputati nazionali invocate da Grillo non sono ancora arrivate e i tre...

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Non si placa la bufera sul caso firme che ha investito il M5S. Tanto per cominciare, le autosospensioni dei deputati nazionali invocate da Grillo non sono ancora arrivate e i tre probiviri che saranno votati in fretta e furia oggi e, a caldo, dovranno occuparsi delle sanzioni, sono mal digeriti dalla base che non ci sta a una consultazione confermativa senza possibilità di scelta. Il Pd intanto parla di Grillopoli e sta tentando un nuovo affondo che potrebbe allargare a dismisura l'inchiesta palermitana oltre i dieci indagati.


L'avvocato, e segretario Pd del capoluogo siciliano, Carmelo Miceli chiederà a breve un accesso agli atti per verificare altre firme, quelle relative alla presentazione delle liste per le elezioni regionali del 2012. Il M5S lo accusa di ricerca spasmodica di visibilità e commenta così: «Cavalca la storia delle firme per dimostrare che lui esiste». Miceli però ha eseguito una ricerca su internet e ha trovato la documentazione con la quale la deputata M5S Loredana Lupo si candidò come deputata regionale. Il segretario Pd ipotizza gli stessi vizi di regolarità e originalità emersi finora nelle liste comunali, ovvero discrepanze nelle firme sull'atto «tali da legittimare il sospetto che non siano apposte dalla stessa persona». «E se ciò fosse confermato attacca Miceli che si riserva a questo punto di verificare anche le sottoscrizioni presentate dal M5S per le elezioni nazionali del 2013 - saremmo dinanzi a un altro caso di firme false». E nel 2013 il M5S è riuscito a mandare in Parlamento 19 eletti, tra i quali Riccardo Nuti, Claudia Mannino e Loredana Lupo. Il punto, secondo Miceli, è capire «se le liste del Movimento siano state depositate con uno o più documenti falsi che, ove accertati tali, ne avrebbero dovuto determinare la non ammissione».

L'indagine intanto va avanti. Nei giorni scorsi sono state ascoltate 400 persone in questura: oltre cento hanno messo a verbale il loro disconoscimento della firma. A Bologna gli indagati sono quattro: tra loro c'è Marco Piazza, vicepresidente del Consiglio comunale, chiamato in causa in qualità di certificatore. Non si dimetterà, ha fatto sapere e non si è ancora autosospeso perché aspetta l'avviso di garanzia che però i pm non sono obbligati a inviargli. «Nessun imbroglio - precisa Piazza per paura di finire mischiato nel calderone palermitano - C'è chi ha firmato e poi ha negato per paura». Le firme disconosciute qui sono quattro mentre altre 17-18 sarebbero state raccolte in modo irregolare. Fra queste, quelle prese al Circo Massimo di Roma. Il clima anche in Emilia è pessimo, le accuse più taglienti infatti non arrivano tanto dalle opposizioni quanto dagli attivisti del M5S che ora temono che il caso possa pregiudicare la campagna per il No al referendum.

I VELENI

I veleni, poi, si sprecano. Stefano Adani, uno dei due ex militanti del Movimento 5 Stelle che ha fatto partire l'inchiesta bolognese racconta di avere ricevuto «insulti sui social e nel corso della nottata numerose telefonate anonime, mute». Sul blog di Grillo la questione è evitata con cura e si citano invece le sottoscrizioni raccolte dal Pd per le regionali del Piemonte di due anni fa. Una vicenda che ha visto «9 esponenti Pd su 10 che hanno scelto il patteggiamento» sottolinea il blog che ribadisce: «Per il Pd nessun imbarazzo, nessuna autosospensione, nessun allontanamento».

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Il Messaggero