In Libia è cominciata la resa dei conti. L'aviazione e le forze dell'ex generale Khalifa Haftar, che combattono gruppi islamici e jihadisti filo-Isis, hanno lanciato due...
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L'ultrimatum. Raid accompagnati da un ultimatum dei militari governativi alla coalizione filo-islamica armata Alba (Fajr Libya): «Avete 24 ore di tempo per lasciare la capitale». «Si è trattato un attacco preventivo per difendere i civili», ha poi dichiarato il premier Abdullah Al Thani secondo cui i miliziani stavano per usare lo scalo per lanciare «attacchi aerei contro istituzioni dello Stato».
Guerra imminente. Mentre il suo rivale, il premier del governo «parallelo» imposto da Fajr e dai Fratelli musulmani a Tripoli, Omar al Hassi, ha messo in guardia: «Così si arriva alla guerra». Tra le due fazioni è intervenuto l'inviato speciale dell'Onu, Bernardino Leon, con un appello ad Al Thani a fermare i bombardamenti sull'aeroporto per contribuire a riportare la calma e ad avviare un dialogo con Tripoli.
Gli appelli. Appello cui si è associata anche l'Italia che preme per una trattativa tra le parti. Secca la risposta del premier libico che ha posto le sue condizioni: i raid si fermeranno quando le milizie avranno lasciato la capitale, permettendo l'ingresso della polizia e dell'esercito regolari. E quando il fronte islamico dell'ovest avrà riconosciuto il governo di Tobruk come l'unico legittimo.
Corte suprema. La spaccatura tra est e ovest è precipitata alcune settimane fa, quando la Corte Suprema ha definito «illegittimo» il parlamento di Tobruk, eletto a giugno, permettendo così alle milizie di Tripoli di «riesumare» l'ex Congresso generale nazionale che anche oggi è tornato a rivendicare il ruolo di unica istituzione «legale e ufficiale» della Libia.
Segnale all'Onu. Il Congresso ha inoltre messo in guardia la stessa comunità internazionale dal trattare con «il fronte illegale». Un chiaro segnale all'inviato dell'Onu, che si muove in questo pasticcio anche giuridico, e che potrebbe rischiare l'espulsione da Tripoli. Il governo parallelo di Hassi continua infatti, con il sostegno di Fajr, a fare pressioni sulla comunità internazionale, tanto che Malta ha deciso di ritirare tutto il suo personale diplomatico dall'ambasciata, una delle pochissime - insieme a quella italiana - rimaste ancora aperte.
Il "rischio Libia". I funzionari maltesi hanno raccontato di aver temuto per la loro incolumità quando hanno visto spuntare bandiere nere dell'Isis anche a Tripoli.
Il Messaggero