La cifra record di 450 milioni per il “Salvator Mundi” invita ad una riflessione. Una riflessione sull’opera attribuita a Leonardo Da Vinci e su un mondo...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
È rinomato quanto certi condizionamenti emotivi possano influenzare il mondo della finanza. Probabilmente l’opera attribuita a Leonardo ha provocato un’esplosione di interesse anche di carattere emotivo che da alcuni investitori è stato considerato molto serio. Il quadro, per quanto bello e interessante, è pur sempre solo attribuito. Vero che è stato giudicato come opera sicura da esperti di chiarissimo prestigio come il professore Piero Marani, uno dei più acuti e fini studiosi di Leonardo. Però persino Marani non ha trovato prove filologiche talmente inoppugnabili da poter identificarlo. Resta un quadro attribuito autorevolmente. Come fa allora un’opera attribuita a raggiungere una simile cifra? Probabilmente per il combinato disposto di diverse componenti, alcune prettamente storiche, altre che vanno decisamente al di là dei libri. Occorre riflettere su una realtà del nostro mercato d’arte. Alcuni grandi finanzieri hanno creato oggi un mercato dell’arte di dimensioni gigantesche, soprattutto nel contemporaneo (penso a Saatchi e Pinault). Uno dei nostri più brillanti storici dell’arte della generazione più giovane, Costantino D’Orazio, ha centrato un aspetto acuto: la cosa interessante è che questo quadro è stato venduto in un’asta di arte contemporanea. Questo fatto è determinante. È stato percepito dai potenziali acquirenti come un’opera d’arte contemporanea. E come tale è stato venduto, con quel valore aggiunto psicologico che ha avuto un peso fenomenale. Gli esperti di Christie’s hanno colto questa singolarità assoluta. E hanno dato questo segnale subliminale mettendo il quadro in un’asta d’arte contemporanea che é quella più amata e più pagata. Leonardo è diventato un contemporaneo ideale di Picasso, Hirst, Basquiat, Koons. E ha battuto tutti.
Ma il ruolo della finanza rischia di compromettere il ruolo del critico, dell’expertise, dello storico dell’arte? Dubbio lecito. Secondo me il rischio, però, è un altro. E cioè che il finanziere possa condizionare le scelte degli esperti, ma non sostituendosi a loro. Può indirizzare il gusto delle persone. Può indurre l’esperto a valorizzare, nella sua ricerca storica e critica, personalità che non valorizzerebbe. È qui, forse, la forzatura della finanza rispetto all’intrinseco valore dell’arte. Far pensare che Leonardo sia un artista contemporaneo e essere accolto con stime paragonabili a quelle di Koons o Hirst e a quel punto attribuirgli quel determinato valore. Questa è una distorsione. A questo punto il finanziere si sostituisce al giudizio dell’esperto storico, che è sempre in grado di attribuire valori confacenti alla realtà della storia. Tutto questo fa bene all’arte? Al di là della vendita record del “Salvator Mundi”, il sistema del mercato dell’arte rischia di adombrare una distorsione sotto un profilo più culturale. Come mai un’opera d’arte solo attribuita, come nel caso di Leonardo, può assumere un valore così feticistico? Il “Salvator Mundi” è un bellissimo quadro, ma sotto il profilo storico-artistico non ha in sé quella profondità culturale spirituale che invece ha “L’ultima cena”. Cito quest’opera perché secondo gli studiosi più accreditati, il “Salvator Mundi” sarebbe stato eseguito al tempo dell’opera milanese. Non c’è paragone tra la potenza artistica dell’”Ultima cena” e il quadro di Christie’s. Anche se per un’antica credenza l’immagine del “Salvator Mundi” ha un significato apotropaico, ossia portafortuna. E non escludo che chi ha comprato l’opera ci abbia pensato.
Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero