Lega, Riccardo Bossi condannato a un anno e 8 mesi

Lega, Riccardo Bossi condannato a un anno e 8 mesi
Milano - «Per lui le casse della Lega erano come un Bancomat», ha detto nella sua requisitoria il pm Paolo Filippini. Accusato di appropriazione indebita aggravata,...

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Milano - «Per lui le casse della Lega erano come un Bancomat», ha detto nella sua requisitoria il pm Paolo Filippini. Accusato di appropriazione indebita aggravata, Riccardo Bossi - figlio maggiore del Senatur - e' stato condannato a un anno e otto mesi di carcere, pena superiore alla richiesta della Procura che si e' fermata a un anno. «E' una condanna politica», afferma il suo avvocato Francesco Maiello.


PAY TV E VETERINARIO
Al primogenito dell’ex leader della Lega sono stati contestate spese personali attorno ai 158.000 euro, denaro usato per pagare anche
«il mantenimento dell’ex moglie», l’abbonamento della pay-tv, luce e gas e anche il veterinario per il cane. Secondo l'accusa, per Riccardo Bossi attingere ai fondi della Lega come se si trattasse di denaro proprio era diventata un’abitudine talmente consueta da far dimenticare a chi li gestiva o li riceveva che quei soldi erano destinati all’attività del partito. Come Renzo Bossi, detto il Trota, l'altro figlio del fondatore del Carroccio. Dato che tutti facevano così, per il pm Riccardo Bossi può beneficiare delle attenuanti generiche. «Il malcostume era così radicato nella gestione del denaro da parte degli amministratori da abbassare la piena consapevolezza del disvalore» dei loro comportamenti illeciti, ha affermato Filippini nella requisitoria del processo con rito abbreviato, che garantisce la riduzione di un terzo della pena. Tra le prove a carico del primogenito del Senatur c'e' anche la cartelletta "The family" trovata in una cassaforte nell’ufficio romano di Francesco Belsito, l’allora tesoriere del Caroccio. La cartelletta conteneva anche altri documenti riconducibili a Renzo e a Umberto, imputati con Belsito in un altro processo con il rito ordinario.

«RAPPORTO DIFFICILE CON PAPÀ»
Tra le carte, e' spuntata una lettera nella quale Riccardo Bossi chiedeva 53 mila euro dicendo di averne «parlato con papà». Soldi che, come gli altri ricevuti tra il 2009 e il 2011, per l'accusa sono serviti a Ruccardo Bossi per attivita' ben diverse dalle esigenze del partito: noleggiare automobili, pagare le rate della retta dell’Università, l’affitto della casa e persino il mantenimento della moglie e le spese per curare il cane. «Riccardo Bossi non ha mai chiesto soldi ad alcuno perché è sempre stato autosufficiente. Solo per un anno e mezzo, quando gli saltarono alcuni contratti di sponsorizzazione nel campo dei rally automobilistici, chiese al padre aiuto, pensando che quelli fossero i soldi di famiglia», sostiene il suo avvocato Francesco Maiello. Secondo il legale, Bossi junior non ha «mai avuto un rapporto diretto con Belsito» e pensava che il denaro che riceveva provenisse di conti del padre. Con il quale, tra l'altro, la comunicazione era scarsa e aveva difficoltà a parlare direttamente perche' era sempre impegnato in politica. Tanto che, quando aveva bisogno di soldi, ne parlava con la segretaria. Riccardo Bossi «non si è mai rivolto alla Lega per avere quei soldi, ma li ha chiesti al padre, tramite la segretaria Loredana, solo per il 2011 e pensava fossero soldi di famiglia», ribadisce il difensore, che nel corso del processo ha depositato una memoria nella quale si spiega che Riccardo Bossi "aveva rapporti difficili con il padre e non sapeva la provenienza di quei soldi". Insomma, «lui non c’entra con il partito», dal quale però «riceveva un emolumento di 3.200 euro al mese per sponsorizzare la Lega all’estero durante le gare automobilistiche».


Ora Riccardo Bossi lavora in una società straniera che tratta petrolio, ma
«è indipendente da quando ha 22 anni: per una sola vola nella sua vita, nel 2011, ha avuto bisogno del padre, per il resto se l’è sempre cavata da solo», afferma il difensore. Quanto a Belsito, Riccardo Bossi «l’avrà visto sì e no una decina di volte e non conosceva gli addetti ai lavori della Lega. Lui era un semplice militante e nulla di più». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero