Caso Shalabayeva, il giudice di pace intercettato: «Così hanno pagato il mio silenzio»

ROMA Omissioni abusi e falsi. Prima per consegnare al governo kazako la moglie del dissidente Muktar Ablyazov, rifugiato politico in Inghilterra, in deroga ai trattati...

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ROMA Omissioni abusi e falsi. Prima per consegnare al governo kazako la moglie del dissidente Muktar Ablyazov, rifugiato politico in Inghilterra, in deroga ai trattati internazionali e alla legge, inducendo in errore questore, prefetto e procura. Poi per ottenere l'impunità. Fino al punto di fare riferimento a un inesistente provvedimento del Tribunale dei minori, mai interpellato, sulla vicenda. Alma Shalabayeva e la figlioletta Alua di appena sei anni sarebbero state sequestrate e i sette poliziotti coinvolti nell'operazione avrebbero mentito anche al capo della polizia Alessandro Pansa che, dopo lo scandalo, aveva sollecitato una relazione di servizio sull'accaduto.

E' la ricostruzione della procura di Perugia, che accusa l'ex capo della squadra mobile di Roma Renato Cortese, oggi numero uno dello Sco, l'ex funzionario dell'Ufficio immigrazione, Maurizio Improta, attuale questore di Rimini, e altri cinque di sequestro di persona, falso, omissione e abuso d'ufficio. Ma sul registro degli indagati è finita anche il giudice di pace Stefania Lavore che, ritenuta consapevole di quanto stava accadendo, avrebbe ugualmente convalidato il decreto di espulsione. Cortese e Improta, difesi rispettivamente da Franco Coppi e Alì Abukar, si presenteranno dai pm per essere interrogati la prossima settimana.

L'INTERCETTAZIONE
C'è una sola intercettazione, rivelatrice, nell'informazione di garanzia notificata agli indagati, con il visto del procuratore Luigi De Ficchy. E' il giudice a parlare al telefono, dopo essere stata sentita dall'aggiunto Antonella Duchini e dal pm Massimo Casucci sulla vicenda: «Mi avrebbero schiacciato, ho fatto pippa...non ho sputtanato nessuno..hanno pagato il mio silenzio... i panni sporchi si lavano in famiglia». Al giudice viene contestato di non aver verbalizzato le richieste degli avvocati in merito all'asilo politico e di non aver menzionato la bambina la cui presenza, per legge, avrebbe impedito il trattenimento e l'espulsione della madre. Quale fosse il disegno dei funzionari di polizia, in contatto diretto con i diplomatici kazaki, non emerge dalle 15 pagine di avviso di garanzia. Di fatto nell'estate 2013 era stato proprio il ministro dell'Interno Angelino Alfano a dovere riferire in parlamento l'accaduto e, alla fine, era stato il suo capo di gabinetto, Giuseppe Procaccini, a lasciare la poltrona. Cortese, Improta, il giudice Levore, i poliziotti Luca Armeni, Francesco Stampamacchia, Vincenzo Tramma, Laura Scipioni, e Stefano Leoni - scrive la procura di Perugia - in concorso tra loro e con Nulran Khassel, Andrian Yelemmessov e Yerzan Yessirkepov «mediante le rispettive consapevoli condotte comissive ed omissive avrebbero privato della libertà personale Alma Shalabayeva e la minore Alma Ablyazova» consentendo che venissero imbarcate su un aereo pagato dall'ambasciata kazaka sebbene la donna avesse «in più occasioni richiesto asilo politico e rappresentato lo status di rifugiato del marito nonché il pericolo per la propria incolumità in caso di rimpatrio forzato in Kazakistan».

LA RICOSTRUZIONE
Stando alla ricostruzione, tutti i poliziotti sapevano che Alma Ayan, identificata sulla base di un passaporto della repubblica Centraficana, era in realtà Alma Shalabayeva, una nota kazaka li aveva informati già il 28 maggio. I poliziotti, che avevano sequestrato durante il blitz nella villa di Casal Palocco 50mila euro, sapevano anche che la donna aveva grandi disponibilità economiche. Eppure l'informazione veniva omessa: «Inducendo così in errore questore e prefetto di Roma che - si legge - emettevano rispettivamente nei confronti di Alma Ayan decreto di espulsione e ordine di trattenimento senza che ve ne fossero le condizioni». Ma c'è di più: anche il funzionario di turno dell'ufficio immigrazione viene tratto in errore, in merito al trattenimento nel Cie di Ponte Galeria, sia su asserito accordo tra personale della squadra mobile e della Digos (smentito poi dal dirigente), sia in merito a un inesistente provvedimento del Tribunale dei minori «che non è mai stato interessato della vicenda» in relazione all'affidamento della piccola Alua. Circostanza che i funzionari riferiranno anche al capo della polizia Alessandro Pansa, quando dovranno spiegare l'accaduto. Nella stessa catena di inganni, secondo Perugia, sarebbe caduta anche la procura di Roma

LA REAZIONE

La Shalabayeva, assistita dagli avvocati Astolfo e Alessio Di Amato, non ha dubbi sul fatto che si sia trattato di un vero e proprio rapimento. «E' vero - dice - all'inizio avevo dato falso generalità per paura: decine di persone armate, senza uniforme, avevano fatto irruzione in casa mia senza mostrare alcun documento. Temevo potessero fare qualcosa di male a me e a mia figlia Alua».
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Il Messaggero