Un tabù per Papa Francesco in Myanmar: vietato parlare dei Rohingya

Un tabù per Papa Francesco in Myanmar: vietato parlare dei Rohingya
CITTÀ DEL VATICANO Dopo 10 ore di volo, Papa Francesco è atterrato a Yangon, la città dei templi dorati che brillano sotto il sole. È il suo terzo...

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CITTÀ DEL VATICANO Dopo 10 ore di volo, Papa Francesco è atterrato a Yangon, la città dei templi dorati che brillano sotto il sole. È il suo terzo viaggio in Asia, alle porte della Cina. Una missione complicata per via dei risvolti diplomatici. La democrazia è fragile, le minoranze (compreso quella cristiana) non godono degli stessi diritti della maggioranza buddista. A questo si aggiunge che è in corso la pulizia etnica dei musulmani, a loro volta infettati dal virus del terrorismo islamico. Ogni parola di Papa Bergoglio potrebbe creare frizioni e problemi ai cristiani.

Non è un caso se ad attendere il Pontefice all'aeroporto, oltre ai vescovi e ai bambini che sventolavano le bandierine, non c'erano autorità. Nel pomeriggio però il generale Min Aung Hlaing, potentissimo capo dell'esercito, si è recato in arcivescovado per salutare il Francesco in segno di rispetto. Si è trattato di una visita privata, di cortesia. L'incontro è stato al centro di un balletto diplomatico dietro le quinte. A sollecitarlo è stato il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, il primo porporato birmano, creato da Bergoglio nell'ultimo concistoro per dare maggiore peso a quest'area geografica del mondo dove verranno aperte nuove chiese e dove verranno mandati anche gesuiti come parroci. Dell'incontro tra il Papa e il generale non è trapelato nulla. Si sa solo che è durato un quarto d'ora e che si «è parlato della grande responsabilità delle autorità del paese in questo momento di transizione».

IL PETROLIO

La missione è costellata di insidie diplomatiche e tensioni, queste ultime aggravate anche dai recenti appelli papali sul genocidio dei Rohingya. Una parola - Rohingya - che i birmani non vogliono sentire per non indebolire il loro carattere nazionalista. I vescovi del Myanmar si erano così trovati tra l'incudine e il martello. Per questo hanno dovuto mediare. Meglio usare l'espressione «minoranza musulmana del Rakhine». Sempre grazie al cardinale Charles Bo è stato aggiunto nell'agenda del Papa un colloquio con i rappresentanti delle minoranze religiose, tra cui i Karen, cristiani, anch'essi perseguitati ma sui quali Papa Bergoglio ha evitato di soffermarsi. Papa Bergoglio potrà incontrare i profughi musulmani Rohingya solo in Bangladesh, ma non in Myanmar. Suonerebbe provocatorio. In questi giorni è presente in Birmania la ex senatrice pd Albertina Soliani, amica personale di Aung San Su Kii dai tempi della sua prigionia. La Soliani difende il Premio Nobel per la pace accusata da molti di avere taciuto sulla vicenda dei Roghingya. «Si deve a questa donna coraggiosa l'avere portato all'Onu la vicenda, è lei che ha affidato a Kofi Annan l'incarico di presiedere la commissione di indagine e redigere il rapporto sul Rakhine, lo stato dove si concentrano i Rohingya e ci sono stati assalti da parte di terroristi infiltrati dall'Isis. La vera questione - aggiunge - è che in molti hanno messo gli occhi sul Rakhine ricchissimo di risorse, ma soprattutto zona strategica: in quel territorio transitano gli oleodotti della Cina per il Golfo del Bengala» Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero