La commissione parlamentare: «La ministra era al vertice su Etruria, ma non parlò»

La commissione parlamentare: «La ministra era al vertice su Etruria, ma non parlò»
Davanti alla commissione Banche, il banchiere Vincenzo Consoli, conferma tutto e rivela anche qualche dettaglio inedito: gli oltre sette milioni e mezzo di debiti di Denis...

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Davanti alla commissione Banche, il banchiere Vincenzo Consoli, conferma tutto e rivela anche qualche dettaglio inedito: gli oltre sette milioni e mezzo di debiti di Denis Verdini, furono garantiti e poi pagati da Silvio Berlusconi. Ieri l'ex ad di Veneto Banca ha ribadito le pressioni subite da Bankitalia per la fusione con Bpvi e, dopo la bufera di giovedì seguita all'audizione del presidente della Consob, ha raccontato dell'incontro in casa Boschi, testimone silenzioso l'allora ministra Maria Elena, per discutere con il futuro vice presidente di banca Etruria, Pier Luigi, dei problemi che l'integrazione con la banca di Gianni Zonin avrebbe comportato.


I DEBITI DI VERDINI
Che il nome Verdini non fosse nell'elenco dei primi 100 più grandi debitori di Veneto Banca, depositato in Commissione, aveva sorpreso gli addetti ai lavori. «Il debito di circa 7,6 milioni di euro acceso da Verdini nel 2012 - ha spiegato Consoli - era assistito dalla garanzia di uno degli uomini più ricchi d'Italia ed è stato interamente ripagato». Quando la senatrice cinquestelle chiede ulteriori dettagli sull'identità del garante, Renato Brunetta (Fi), che in quel momento presiede la Commissione, dispone la secretazione dei lavori. L'uomo è Silvio Berlusconi.

CASA BOSCHI
Era appena stata nominata ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, a Pasqua 2014, quando, nella casa di famiglia, ha partecipato all'incontro tra suo padre, che all'epoca non era ancora presidente di Etruria, e Vincenzo Consoli. «Per un quarto d'ora - dice Consoli - non proferì parola, dopo si alzò e andò via. Avevamo saputo che Etruria aveva ricevuto da Bankitalia una lettera simile alla nostra, nella quale si chiedeva l'aggregazione con un partner di elevato standing, indicato poi in Popolare Vicenza. Lo scopo - dice Consoli - non era sapere perché Banca d'Italia indicasse a entrambi gli istituti la Vicenza, piuttosto - continua - se i vertici di Arezzo si sarebbero dimessi o no. La lettera avvisava i che i consiglieri non sarebbero potuti restare nella nuova entità. Noi di Veneto Banca, poi siamo andati tutti a casa, nonostante i legali avessero detto che Bankitalia non aveva i poteri di rimozione «quelli di Banca Etruria no». L'ex ad conferma anche il contenuto dell'intercettazione con l'allora capo della Vigilanza della sede di Bankitalia di Firenze. Il riferimento era a una prossima telefonata a Boschi, per chiedergli se potesse intercedere con la figlia o il premier. «Era l'inizio del 2015, un momento in cui c'era il famoso decreto Popolari, la nostra era una preoccupazione comune. Io cercavo di andare al massimo vertice. Tentai di incontrare Renzi per dirgli di stare attento a una riforma fatta in tempi così brevi e modificarla». Un tentativo «che fecero anche altri presidenti e vertici di istituti popolari» ma l'incontro non ebbe luogo.

BANKITALIA

Consoli ribadisce le pressioni subite da Bankitalia per la fusione con Vicenza. Racconta che, dopo l'ispezione del 2013, a Montebelluna Carmelo Barbagallo (numero uno della Vigilanza di via Nazionale) «a bassa voce» rivelava a lui e al presidente Flavio Trinca chi fosse il partner di elevato standing: Popolare di Vicenza. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero