La congiura nel Pd e lo scontro a destra sulla leadership di Berlusconi

La congiura nel Pd e lo scontro a destra sulla leadership di Berlusconi
“Chi avrà più voti esprimerà il leader”, sostiene Silvio Berlusconi. Principio banale che il Cavaliere evoca per regolare il confronto interno al...

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“Chi avrà più voti esprimerà il leader”, sostiene Silvio Berlusconi. Principio banale che il Cavaliere evoca per regolare il confronto interno al centrodestra, ma che di fatto potrebbe essere assunto anche nel centrosinistra. Se non fosse che a sinistra Mdp pone una questione pregiudiziale su Matteo Renzi. Ovvero “via Renzi e facciamo la coalizione”. Più o meno quello che, meno esplicitamente, pretendono Matteo Salvini e Giorgia Meloni nei confronti di Silvio Berlusconi.


La ricomposizione del centrosinistra e del centrodestra appare affare molto complicato. Berlusconi ha il vantaggio di avere un partito proprio, mentre Renzi ha scalato il Pd vincendo due volte. IlCavaliere è però ancora sotto gli effetti della legge Severino che lo rende incandidabile mentre Renzi guida un partito che nello statuto indica il segretario come possibile candidato premier. 

Bastassero i voti e i consensi a regolare le rispettive partite interne non ci sarebbero le polemiche di queste ore, ma così non è e il Pd risente soprattutto di equilibri parlamentari composti dal Pd a guida Bersani mentre Berlusconi ha gruppi dimezzati rispetto al 2013. La voglia di restare in Parlamento sino all’ultimo giorno di quasi, se non tutti, gli eletti ha sinora impedito ogni tentativo di riscrivere la legge elettorale, ma a metà luglio si chiude anche l’ultima finestra per votare a ottobre o a novembre, qualora qualcuno ne avesse ancora la tentazione. 

A settembre si vedrà se e come si potrà riprendere il confronto sulla legge elettorale. Magari recuperando l’accordo sul sistema tedesco affossato alla Camera dal voto sulle minoranze linguistiche sul quale erano convenuti anche M5S e Lega.

I grillini si sono però già sfilati e la Lega ora evoca il maggioritario. Al Pd potrebbe restare solo FI come interlocutore. Sempre che il centrodestra non trovi un’intesa al suo interno che in uno schema coalizionale lo avvantaggia sia rispetto al  M5S che al Pd.
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Il Messaggero