ROMA «La situazione è delicata, inutile nasconderlo. Bisogna fare qualcosa». Paolo Gentiloni si è limitato a dire solo questo in Consiglio dei ministri....
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LA TENSIONE
Al di là della possibile exit strategy ipotizzata ieri, la temperatura nei dem resta altissima. «La scissione non e' un dramma ma un inizio, dico no a un congresso trasfomrato in plebiscito manipolato», attacca D'Alema, «mi vergogno del Pd», spiega riferendosi soprattutto all'operato su Mps, «il populismo non si esorcizza con le parole, iniettando populismo a bassa intensità». Parole che irritano Renzi e i suoi fedelissimi. L'ex presidente del Consiglio ha portato avanti per tutta la giornata contatti con i suoi e con gli avversari e competitor: Emiliano, Rossi e Speranza. «Renzi mi ha chiamato e abbiamo parlato. Spero che il nostro confronto sia utile alle sue prossime decisioni», ha riferito il governatore della Puglia.
Colloquio arrivato dopo il caso Delrio. Il ministro per le Infrastrutture e i Trasporti, due giorni fa durante un forum nella sede del Nazareno, si è lasciato andare ad alcune confidenze, poi carpite da un microfono acceso.
IL FUORIONDA
Accanto aveva il presidente della commissione Trasporti della Camera, Michele Meta: «Matteo non ha fatto neanche una telefonata per evitare la scissione». Ragionamento che in realtà l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio aveva già fatto proprio all'ex premier. «Poi ci sono anche dentro i renziani che valutano positivo se diminuiscono i posti da distribuire», lo sfogo di Delrio. Ed ancora: con Matteo «si è litigato di brutto perché non puoi trattare questa cosa come un passaggio normale». La scissione? «Sarà come la rottura della diga in California, hai presente? C'è una crepa, e poi l'acqua non la governi più». Affermazioni poi corrette prima del Cdm: «Renzi ha fatto tutto il possibile, ora non ci sono più alibi. La minoranza si assuma le sue responsabilità. Noi abbiamo avviato la procedura congressuale e quindi non è possibile interromperla».
«In fuorionda veritas», reagisce il senatore bersaniano Gotor, «è finito il tempo degli affetti, Renzi assuma scelte chiare». Il percorso indicato dalla minoranza è sempre lo stesso: conferenza programmatica a maggio, congresso a settembre. Nessuna ulteriore concessione, «per evitare la scissione servirebbe un miracolo, servono fatti e non più parole».
Insomma, la scissione resta a un passo. E le posizioni restano distanti.
«Fermatevi anche voi», è l'appello di Fassino rivolto a Bersani, che assicura comunque che lui e i suoi domani saranno all'Assemblea. «Se il Pd è la casa di tutti, litighiamo, scontriamoci, ma senza abbandonarla o distruggerla», dice Franceschini. «Io penso davvero che la rottura del Pd sia un danno, sarebbe una sconfitta per tutti», sottolinea Cuperlo. Interviene anche Pisapia: «La scissione sarebbe una tragedia per l'Italia». «Con la scissione il governo non arriva neanche a giugno», osserva Orlando che si fa portavoce dei timori del governo.
In caso di scissione e di nuovi gruppi alla Camera e al Senato potrebbe essere necessaria una verifica parlamentare, ipotizza più di un parlamentare dem. Il nodo a tarda sera non si scioglie. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero