Sinjar, scoperta la città sotterranea dell'Isis: i tunnel usati per difendersi dai curdi

Sinjar, scoperta la città sotterranea dell'Isis: i tunnel usati per difendersi dai curdi
In superficie regna il caos. Resta poco o nulla di quella che era Sinjar, la città irachena degli yazidi. Solo distruzione e macerie, testimonianza di ciò che è passato di lì:...

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In superficie regna il caos. Resta poco o nulla di quella che era Sinjar, la città irachena degli yazidi. Solo distruzione e macerie, testimonianza di ciò che è passato di lì: prima il brutale attacco sferrato dall'Isis ad agosto del 2014, poi la riconquista per mano dei curdi appoggiati dai bombardieri americani che all'inizio di questo mese hanno preso il controllo della città, consentendo ad alcuni yazidi di tornare ad assistere al disastro. Ma se sopra la terra è solo devastazione, con edifici distrutti e strade che sembrano crateri, sotto, nascosta alla vista, c'è una città parallela, fatta di una straordinaria rete di tunnel, dove vivevano i combattenti dell'Isis per difendersi dall'incombente attacco curdo.


«Abbiamo trovato tra i 30 e i 40 tunnel sotto Sinjar - ha detto Shamo Eado, comandante dei combattenti curdi iracheni – È una rete nel cuore della città. I combattenti dell'Isis hanno scavato queste “trincee” per nascondersi da attacchi aerei, garantendosi una libera circolazione sotterranea. Era il luogo dove nascondevano armi ed esplosivi, era il loro arsenale militare».
Gli stretti cunicoli scavati nella roccia si sviluppano abbastanza in altezza per consentire a un uomo di stare in piedi. All'interno, sacchi di sabbia alle pareti, cavi elettrici, luci e tiranti in metallo per rinforzare i soffitti. Un bunker con copie del Corano sugli scaffali, mucchi di coperte e cuscini, antidolorifici e antibiotici sparsi sul pavimento. Una fitta rete che collega diverse case della città, un ordine certosino che cozza con il disastro in superficie.

Barakat, 53 anni è tornato in città per vedere quello che è rimasto del centro commerciale che la sua azienda aveva iniziato a costruire prima che i jihadisti arrivassero e uccidessero centinaia di persone, sequestrando circa 6mila yazidi. Molti dei 90mila abitanti della città sono fuggiti a nord cercando di mettersi in salvo nel Kurdistan iracheno mentre, ancora oggi, ci sono donne yazide che vivono il loro calvario quotidiano in mano ai terroristi. «Rimarrò qualche giorno per prendere ciò che è rimasto delle nostre vite – ha detto Barakat - La maggior parte delle case non bruciate o distrutte sono state saccheggiate. Sono andato a vedere la mia casa: è stata bruciata e la gente ha rubato tutto quello di cui aveva bisogno».

Abu Dalal, un altro residente, dice di essere in visita lampo per salvare quello che può dalla sua casa. Insieme ad altre tre famiglie ha affittato un camion per portar via il possibile. «L'Isis ha preso la maggior parte degli elettrodomestici. Siamo venuti a prendere ciò che resta, prima degli altri». Perché nelle pieghe della disperazione di queste famiglie, che vengono a recuperare ciò che resta della loro vita, si stanno insinuando gli sciacalli, pronti a saccheggiare qualunque cosa. «Dicono tutti di essere proprietari – dice Ahmed Osman, comandante di un battaglione curdo - Stanno rubando, ma non possiamo farci nulla. Non ci sono prove per fermarli».


Adesso nella città distrutta regna il caos. «Avevo 500 pecore, ma ho perso tutto quando siamo fuggiti. Non torneremo a vivere qui presto. Non abbiamo soldi per ricostruire – dice Abu Dalal – Basta guardare lo stato della città, si avverte la mancanza di sicurezza». Gli fa eco Hassan, un amico: «Abbiamo bisogno di garanzie. Abbiamo bisogno di una forza internazionale che ci protegga. Senza sicurezza, acqua ed elettricità, la gente non rimarrà. Se questa forza non arriva, alla fine Sinjar finirà per rimanere deserta». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero