Isis, si rifiuta di pentirsi per aver bestemmiato. Prima di morire urla al boia: «Il mio nome vivrà più a lungo del tuo»

Isis, si rifiuta di pentirsi per aver bestemmiato. Prima di morire urla al boia: «Il mio nome vivrà più a lungo del tuo»
Ha rifiutato di piegare la testa e sottostare alle rigide regole imposte dal Califfato nella sua città: Amjad Mohammed Ben Sasi, 19 anni, è stato giustiziato in...

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Ha rifiutato di piegare la testa e sottostare alle rigide regole imposte dal Califfato nella sua città: Amjad Mohammed Ben Sasi, 19 anni, è stato giustiziato in pubblica piazza a Sirte, in Libia, per essersi rifiutato di pentirsi dopo aver bestemmiato in strada durante una lite con un vicino.


Era il dicembre del 2015: per questo “crimine” Amjad venne portato per ben tre volte davanti alla corte della sharia. Gli sarebbe bastato pentirsi e la pena inflitta sarebbe stata meno dura. Ma lui non ha nemmeno preso in considerazione l'ipotesi di pronunciare quelle parole che gli avrebbero evitato una morte certa: il ragazzo, secondo il rapporto di Human Rights Watch, faceva parte di una milizia fedele ad Alba libica, la coalizione che ha tentato di cacciare l'Isis da Sirte prima del 2015. «Amjad era un ragazzo orgoglioso e irascibile - ha raccontato lo zio Salah Salem Bin Sasi al Times - Era stufo delle regole dello Stato islamico a Sirte. Il suo modus vivendi era “Fai quello che ti piace e non scusarti”».

Amjad  ha pagato caro il prezzo della sua “sfida”, del suo moto di ribellione contro gli uomini che a Sirte comandano con l'uso della forza e della paura: è stato portato in una pubblica piazza dove l'accusa di blasfemia è stato letta ad alta voce a coloro che si era riuniti per assistere all'esecuzione.

Amjad, fino alla fine, non ha mai abbassato la testa. Quando il boia gli ha chiesto se volesse pronunciare le sue  ultime parole, lo ha guardato dritto negli occhi e gli ha detto: «Il mio nome vivrà più a lungo del tuo», come ha ricordato suo zio. «Vedremo» gli ha risposto il jihadista prima di sparargli due colpi di pistola alla nuca.

Da allora la sua famiglia attende di poter dare una degna sepoltura al ragazzo. «Ci hanno detto che non ha alcun diritto di essere sepolto, visto che non era credente» hanno detto i familiari. Voci che si uniscono a quelle delle centinaia di parenti di vittime i cui corpi non vengono restituiti, costringendo le famiglie a imprese notturne per “trafugare” i corpi dei loro cari crocifissi e lasciati appesi a una croce. 

Adesso Sirte, viste le sconfitte in Iraq e in Siria, potrebbe diventare la nuova roccaforte del Califfato. Ma sono molti i parenti delle vittime pronte a imbracciare le armi per vendetta. «Quando arriverà il momento – ha concluso Salah - sarà facile in una città così piccola scoprire chi è stato dalla parte dell’Isis». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero