Barack Obama chiede al Congresso nuovi poteri di guerra contro lo Stato islamico: vuole un'autorizzazione limitata nel tempo, che scada dopo tre anni, ma allo stesso tempo che...
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«Ma non sto chiedendo di aprire una nuova guerra come in Afghanistan o in Iraq», rassicura, parlando agli americani dalla Casa Bianca, e promettendo che il ricorso a soldati sul campo ci sarà solo se «assolutamente necessario». Poi la promessa: «L'Isis perderà». Dopo oltre 2.000 raid aerei «stiamo distruggendo le loro linee di comando, di controllo e di rifornimento», spiega: «La nostra coalizione è forte, la nostra causa è giusta e la nostra missione avrà successo».
Alla base della richiesta al Congresso c'è la «grave minaccia» rappresentata dall'Isis. «Una minaccia alla stabilità dell'Iraq, della Siria, del Medio Oriente e alla sicurezza nazionale Usa», ha scritto Obama nella lettera che accompagna la proposta di risoluzione, inviata al Congresso. «Se non affrontata - afferma il presidente - l'Isis diventerà una minaccia che andrà oltre il Medio Oriente e arriverà anche negli Stati Uniti». E in effetti la minaccia sembra già serpeggiare all'interno degli Usa. Secondo l'intelligence americana, tra i circa 20 mila combattenti stranieri che si sono uniti all'Isis in Iraq e Siria ce ne sono circa 3.400 giunti da Paesi occidentali, tra cui alcuni degli oltre 150 americani che avrebbero tentato di farlo.
La richiesta del presidente sembra mostrare la volontà di venire incontro a quei democratici che non vogliono un nuovo coinvolgimento americano in un conflitto dalla durata e dagli sviluppi imprevedibili, ma anche di rispondere ai repubblicani che spingono per un'azione più decisa. E l'esortazione all'unità sembra aver fatto presa, specie perchè Obama ha detto ancora una volta di ritenere di avere già l'autorità per condurre la guerra contro l'Isis, come del resto sta facendo da sei mesi in base all'autorizzazione concessa dal Congresso nel 2002 a George W. Bush per la guerra in Iraq.
La nuova richiesta formulata da Obama farebbe peraltro decadere quel documento. «Non sono d'accordo sulla politica estera del presidente», ma «i nostri nemici e i nostri alleati devono sapere che parliamo con una voce sola», ha ad esempio detto il deputato repubblicano Jeff Falke.
Il Messaggero