Oltre l’inchiesta di Roma, discontinuità contro il partito del malaffare

Oltre l’inchiesta di Roma, discontinuità contro il partito del malaffare
«Io non sono particolarmente appassionato di Gotham City. È come se qualcuno abbia costruito un incubo di metallo e di pietra». ...

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«Io non sono particolarmente appassionato di Gotham City. È come se qualcuno abbia costruito un incubo di metallo e di pietra».




Parla così Superman, nel celebre film, che prende il titolo da quella metropoli terrificante. Ma adesso quella pellicola americana è diventata realtà qui e ora, è andata in scena veramente e Gotham City è Roma. Così, in un incubo che è anche e soprattutto mafia, è stata ridotta la Capitale d’Italia, stando almeno alla lettura delle carte degli inquirenti. E Mafiopoli è peggio di Tangentopoli.



Si è verificato un ribaltamento clamoroso rispetto a uno schema purtroppo classico. Prima, erano i partiti che si servivano di quella zona grigia - o «terra di mezzo», come la chiama “il guercio” Carminati, una vita tra Nar e Banda della Magliana e adesso al centro di questa rete da mani sporche sulla città e di questo film dell’orrore - in cui si mescolavano affari e politica. E quest’ultima usava la criminalità per i propri voti, per i propri fini, per il proprio disonore.



Oggi invece è questa zona grigia che diventa, secondo il racconto dei magistrati, zona nera, nerissima e trasversale, e si serve della politica per dettare legge e per imporre duramente le sue regole sulla città simbolo del nostro Paese. Con questo ribaltamento, con questo salto di qualità, con questo ennesimo passo in avanti sulla via del degrado politico-civile e dello sconfinamento nella criminalità più spaventosa, Roma diventa simile a Palermo, a Reggio Calabria, a Milano dove la ’ndrangheta lombarda ha sfigurato quella che un tempo, assai remoto, veniva pomposamente chiamata la capitale morale d’Italia.



Il problema naturalmente è morale, ma prima ancora è squisitamente politico. E impone in maniera forte una questione di discontinuità. L’inchiesta romana, con tutte le storie nere della destra, della sinistra e della politica mafiosa che la compongono, è la riprova che occorre ormai prescindere da questi partiti, per liberarsi dall’illegalità di cui spesso questi partiti - a leggere i documenti giudiziari che li riguardano - sono diventati lo scheletro, l’architrave, l’ubi consistam. In un sistema nel quale il romanzo criminale si è mangiato il mondo politico, non tutto per fortuna, e divorandolo si è sostituito ad esso.



Siamo insomma davanti alla conferma che la vera discontinuità, a cui deve aspirare il governo di una grande città, non è tanto quella tra la ricetta di un partito e la ricetta di un altro partito, in un’alternanza che è la riproposizione del sempre uguale, ma è quella tra l’illegalità e la legalità, tra la mafia e il buon funzionamento trasparente ed efficiente della cosa pubblica.



Più che azzerare una giunta, c’è da liquidare una classe dirigente che si è rivelata bipartisan nel suo cuore di tenebra e nella palude che ha creato, quindi intercambiabile perché figlia delle medesime logiche assai pericolose. Se non si vuole aspettare che sia ogni volta la magistratura a fare pulizia, mentre i partiti perdono progressivamente terreno e dignità, serve un colpo di reni da parte delle forze sane della Capitale. E un’opera di riscatto da parte della buona politica per riconquistare, agli occhi dei cittadini, la propria sovranità e la libertà per tutti dal malaffare.



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Il Messaggero