L’attacco alla Rambla di Barcellona costituisce il primo grande attentato islamico in territorio spagnolo dalla strage di Madrid dell’11 marzo 2004 quando 4 ordigni...
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Un attentato pianificato in modo strategico che si verificò tre giorni prima delle elezioni politiche in cui vennero sconfitti i Popolari dell’attuale premier Mariano Rajoy (favoriti) a vantaggio dei socialisti di Josè Luis Rodriguez Zapatero, il cui governo attuò il ritiro delle truppe iberiche dall’Iraq.
Questa volta l’attentato compiuto con un veicolo sulla rambla di Barcellona non era così complesso e non sembra avere obiettivi politici così ambiziosi ma, come a Nizza, il furgone con cui è stato compiuto l’attacco è stato noleggiato e l’obiettivo è stata una strada pedonale (come anche a Berlino) dove i passanti sono più vulnerabili e non ci sono ostacoli che possano fermare facilmente la corsa di un veicolo lanciato.
Inoltre la rambla di Barcellona, affollata di turisti, costituisce un simbolo della città noto in tutto il mondo (colpirla significa ottenere la massima risonanza mediatica) e che ben rappresenta la società occidentale, consumistica e “corrotta nei costumi” secondo la morale islamica cara al Califfato che ha subito celebrato in rete il successo. Del resto è dall’inizio dell’anno che la Spagna è entrata ufficialmente nel mirino dello Stato Islamico, prima con intercettazioni di jihadisti che invitavano a colpire il territorio spagnolo mentre in giugno un proclama ufficiale del Califfato ha citato esplicitamente per la prima volta la Spagna tra gli Stati da colpire indicati alle cellule o ai lupi solitari attivi in Europa.
Secondo il Ministero dell’Interno di Madrid, a novembre 2015 i foreign fighters che avevano lasciato la Spagna per combattere in Siria o Iraq erano 139 (il 10% donne) dei quali 25 già ritornati, in buona parte provenienti da Ceuta, Malaga e Girona, alcuni già noti per piccoli reati o spaccio di droga, per lo più sposati con prole, disoccupati oppure lavoratori poco qualificati o studenti al momento della partenza. A gennaio di quest’anno le stime sul numero dei foreign fighters erano salite a circa 200 persone, quasi tutti di età compresa tra 20 e 30 anni, tra cittadini spagnoli e marocchini residenti in Spagna. Nello stesso mese le forze di sicurezza spagnole hanno intercettato numerosi messaggi inviati dai foreign fighters in Iraq e Siria ai loro amici, parenti e simpatizzanti in Spagna che incitavano ad “attaccare”, “colpire” o “passare all’azione”. Esortazioni che si rifacevano al proclama di tre anni or sono di Mohammed al-Adnani , il capo della propaganda dell’Isis ucciso un anno or sono da un drone americano in Iraq, che incitò gli aderenti allo Stato Islamico, anche privi di addestramento militare e di armi, a colpire gli infedeli nei paesi Occidentali con ogni mezzo, inclusi coltelli, veicoli e veleno. Le valutazioni degli esperti a gennaio rivelavano il rischio di attentati condotti da “lupi solitari” stimando che su 800 radicalizzati islamici presenti in Spagna almeno un centinaio fossero in grado di compiere azioni terroristiche, numero probabilmente ricavato anche dalla cattura di alcuni reclutatori che inviavano giovani a combattere sotto le bandiere del Califfato.
Il ruolo militare della Spagna nella Coalizione a guida statunitense che tre anni or sono mosse guerra allo stato Islamico è certo uno degli elementi che determinano l’ostilità dell’Isis nei confronti di Madrid, benché si tratti di un’adesione che in termini bellici risulta molto inferiore a quello rivestito da tanti altri Stati europei (Italia inclusa) che hanno inviato più truppe, elicotteri, aerei da combattimento e forze speciali.
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Il Messaggero