Verdini condannato divide il Pd, i renziani: «Non governa con noi»

Verdini condannato divide il Pd, i renziani: «Non governa con noi»
IL RETROSCENA ROMA Ma come, i riflettori delle liti sono accesi solo sul centrodestra ormai ex, e non sul Pd? Osano togliere ai dem lo scettro di partito litigioso per...

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IL RETROSCENA
ROMA Ma come, i riflettori delle liti sono accesi solo sul centrodestra ormai ex, e non sul Pd? Osano togliere ai dem lo scettro di partito litigioso per antonomasia? A qualcuno, dalle parti del Nazareno, dev'essere scoppiata una vera e propria crisi di astinenza e così, nel giro di poco, non uno ma ben due motivi di ennesimo scontro interno sono stati agitati dentro il Pd: la condanna di Denis Verdini e il referendum sulle trivelle.


LE TENSIONI
E nel partito di Renzi è di nuovo scontro. Sull'ex coordinatore di Berlusconi poi staccatosi da FI e che più volte non ha fatto mancare il proprio apporto su provvedimenti anche importanti (ultimo, le unioni civili), la minoranza dem muove all'attacco. «Un po' più di prudenza nei rapporti con Verdini non avrebbero guastato», l'accusa mossa al vertice. Parole dure, ma lontane ancora da quelle dei cinquestelle, che di fatto hanno iscritto d'ufficio Verdini al Pd («Renzi ha un condannato al giorno»), o del capogruppo di Sel, Arturo Scotto, che domandandosi retoricamente «se il Pd vuole andare avanti ancora con i voti di un condannato», in realtà è come se chiedesse la crisi di governo e, perché no, il ricorso alle urne anticipate, visto che al Senato la maggioranza non ci sarebbe più. Dal Pd la parola d'ordine è calma e gesso e Renzi detta la linea: «Verdini non è del Pd e non è in maggioranza, l'aver votato qualche provvedimento non significa che ne faccia parte. Non capisco perché ci attacchino, sono attacchi strumentai. Se verrà condannato definitivamente pagherà come tutti».
 

Ma è sul referendum di aprile sulle trivelle, che lo scontro nel Pd segna di nuovo il diapason. «Chi ha deciso per l'astensione?», chiede e si chiede Roberto Speranza, l'aspirante anti-Renzi. Gli rispondono per filo e per segno i due vice segretari, Serracchiani e Guerini, ma non semplicemente per informare, ma per picchiare duro su quanti agitano questo referendum che «costa 300 milioni» alla collettività per farne un ennesimo argomento di attacco al governo. «Questo referendum è inutile. Non riguarda le energie rinnovabili, non blocca le trivelle (che in Italia sono già bloccate entro le 12 miglia, normativa più dura di tutta Europa), non tocca il nostro patrimonio culturale e ambientale», così i due vice di Renzi, che proseguono: «Ci sono alcune piattaforme che estraggono gas. Ci sono già. Vi lavorano migliaia di italiani. Finché c'è gas, ovviamente è giusto estrarre gas. Sarebbe autolesionista bloccarle dopo avere costruito gli impianti, licenziare migliaia di italiani e rinunciare a un po' di energia disponibile, Made in Italy. Col risultato che dovremmo acquistare energia nei Paesi arabi o in Russia, a un prezzo maggiore». E arriva l'annuncio di battaglia politica: «Non c'è nessuna nuova trivella, ma solo tante bugie. Lunedì parleremo anche di questo, ratificando la decisione presa come vice segretari, e vedremo chi ha i numeri, a norma di statuto, per utilizzare il simbolo del Pd».

Un comunicato impegnativo, concordato pressoché parola per parola con il leader, e volutamente polemico, al limite dell'ukase. Su Verdini i toni e gli argomenti sono pacati («non è dei nostri né lo sarà», la sintesi), ma sulle trivelle è un dàgli addosso a chi agita il tema e a chi punta a usarlo per creare problemi (tra questi, i presidenti delle Regioni che lo hanno indetto, tutti del Pd). Tutto un fuoco che difficilmente rimarrà sotto la cenere, rischia anzi di riacutizzare i conflitti nella direzione di lunedì, quella che Renzi avrebbe voluto tenere all'insegna della concordia interna, con le amministrative alle porte. Ma con queste premesse, addio sogni di pax interna. Lette le parole del duo Serracchiani-Guerini, la minoranza ha deciso di controbattere. «Non si riduca la direzione a un luogo di ratifica», intima il bersaniano Nico Stumpo. «Definire inutile un referendum è sbagliato e non porta neppure bene», incalza Gianni Cuperlo, che poi si rivolge a Guerini: «Per favore, pigia il pedale sul freno, un partito si guida con l'ascolto e il confronto».

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Il Messaggero