Con la parziale marcia indietro sull'Obamacare e lo stuolo di lobbisti nominati nel transition team, il presidente-tycoon sta già tradendo alcune delle sue principali...
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Nonostante i primi cedimenti e compromessi, il tycon assicura intanto di voler onorare il suo contratto con gli elettori, che ricorda quello con gli italiani stipulato in tv a cinque giorni dal voto del 2001 da Silvio Berlusconi, figura alla quale i media americani e internazionali paragonano il tycoon. Ma il contratto con gli elettori non è un'invenzione del Cavaliere: il primo fu il Contratto con l'America, manifesto elettorale (vincente) dei Repubblicani durante le elezioni parlamentari statunitensi del 1994. Alcuni obiettivi sembrano a portata di mano. Ad esempio rinegoziare o ritirarsi dall'accordo commerciale Nafta, con Canada e Messico che si sono già detti disponibili ad una revisione. O il colpo di spugna sull'accordo transpacifico (Tpp), con Obama che, dopo aver già sospeso gli sforzi per farlo passare al Congresso, dovrà spiegare la prossima settimana la nuova situazione ai leader degli altri 11 Paesi firmatari durante il vertice Apec in Perù. Il magnate non dovrebbe trovare ostacoli neppure a cancellare l'eredità verde di Obama, togliendo le restrizioni all'estrazione di idrocarburi, dando disco verde all'oleodotto Keystone e abolendo miliardi di contributi all'Onu per i programmi contro il climate change.
Uno dei suoi primi passi sarà sicuramente la nomina per sostituire il defunto giudice della Corte Suprema Antonin Scalia, in modo perpetuare un orientamento legislativo conservatore. Tra le sfide più impegnative gli investimenti per mille miliardi nelle infrastrutture, con incentivi fiscali per i privati per superare l'ostilità dei repubblicani contro la spesa pubblica. Porte aperte invece nel partito per il piano di riduzione fiscale: il taglio più grosso sarà per la middle class, per le aziende l'aliquota scenderà dal 35% al 15%. Gli esperti si chiedono tuttavia come verrà fronteggiata l'emorragia delle entrate e dubitano che l'economia potrà crescere del 4% annuo con la creazione di almeno 25 milioni di posti di lavoro, come promesso da Trump con la "deregulation" e scoraggiando le delocalizzazioni.
Perplessità anche sulla creazione del muro al confine col Messico e sul giro di vite contro i clandestini, nonché sugli effetti di etichettare come manipolatore valutario la Cina. Trump intanto continua a lavorare alla squadra di governo. I media hanno le loro short-list, toto-nomi con rose spesso ancora troppo ampie. Non però nel caso del 'chief of staff' della Casa Bianca, dove il duello è tra Stephen K. Bannon, ex ceo di Breitbart News e presidente della campagna di Trump, e Reince Priebus, presidente del partito repubblicano. Come segretario di Stato sono in corsa l'ex speaker della Camera Newt Gingrich e John R. Bolton, ex ambasciatore Usa all'Onu sotto George W. Bush.
Tra i papabili al Pentagono il generale Michael T.
Il Messaggero