Una multinazionale del legno ha messo alle corde Greenpeace, che ora rischia di scomparire. La Resolute Forest Project, colosso canadese della carta, ha deciso di rispondere alle...
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LE FORESTE DA SALVARE
L'anno scorso, la cifra si è ridotta a 7 milioni di dollari. Riduzione accompagnata da un dietrofront di Greenpeace, che ha moderato le precedenti affermazioni, ammettendo che gli attacchi erano basati su opinioni soggettive non verificabili. Lo scenario che si prospetta con la diatriba tra le due forze in campo, la multinazionale e gli ecologisti, segna una svolta nei rapporti tra mondo industriale e ambientalista. Mai prima d'ora, una società aveva deciso di scontrarsi a viso aperto con Greenpeace. Regola non scritta di questi scontri tra lobby industriali e organizzazioni ecologiste consisteva nel ridurre al minimo i danni. Normalmente sarebbe stata avviata una trattativa, che avrebbe portato a un vantaggio per tutte e due le fazioni in campo: la multinazionale avrebbe ottenuto un ritorno d'immagine con il grande pubblico, Greenpeace avrebbe visto realizzare le sue richieste. Resolute ha preferito non mediare: «L'obiettivo di Greenpeace è ricavare guadagni, non salvare l'ambiente. Farebbe qualunque cosa pur di ottenere donazioni, compreso inventare prove, è un'impresa illegale, priva di etica che fa soldi illegalmente per se stesso e per i suoi vertici». Greenpeace ha parlato di «attacco deliberato alla libertà d'espressione» e ha chiesto a case editrici e testate che usano carta prodotta da Resolute di «farsi sentire per la libertà di parola e per la difesa delle foreste».
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Il Messaggero