Giornata mondiale della sicurezza in Rete, il 72% teme la diffusione di foto intime

Giornata mondiale della sicurezza in Rete, il 72% teme la diffusione di foto intime
Internet è parte fondamentale della nostra quotidianità. Usato da chiunque e per gli scopi più disparati spesso è al centro delle polemiche a causa dei...

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Internet è parte fondamentale della nostra quotidianità. Usato da chiunque e per gli scopi più disparati spesso è al centro delle polemiche a causa dei pericoli a cui espone. Ad essere più vulnerabili sono soprattutto gli adolescenti, ragazzi con un’età compresa tra i 12 e 18 anni che sono costretti a confrontarsi con cyberbullismo e hate speech, ovvero quei messaggi d’odio diffusi attraverso la rete. Proprio per contrastare questo tipo di fenomeni e aiutare i giovani a usare in modo consapevole il web, è stato istituito il SID, l’Internet Safer Day. Oggi, 6 febbraio, si è arrivati all’ottava edizione della giornata mondiale della sicurezza in rete, ma ancora non si hanno soluzioni definitive. Il web, infatti, è uno di quei campi in cui il tempo sembra sviluppare più problemi che rimedi. 


Questa ricorrenza, voluta dall’Unione europea, è l’occasione per fare il punto: secondo i dati diffusi dal Telefono Azzurro il 72% degli adolescenti italiani confessa che la paura maggiore è legata alla diffusione di foto intime e video a sfondo sessuale; uno su quattro teme di essere ricattato per la pubblicazione di questo genere di contenuti su un social network o la diffusione attraverso piattaforme di instant messaging; mentre oltre la metà (vale a dire il 59%) degli adolescenti ha già vissuto esperienze spiacevoli e negative durante la fruizione di una diretta streaming.  

Inoltre un ragazzo su tre sa che il web è pieno di violenza. È capace di riconoscerla, perché ha visto online messaggi d’odio rivolti in maniera indiscriminata a singoli o gruppi, vessati per il colore della pelle, religione o nazionalità. L’hate speech sconvolge i ragazzi che nel 52% dei casi provano tristezza per l’accaduto, oppure rabbia (36%), disprezzo (35%) o vergogna (20%). Purtroppo in più della metà dei casi gli intervistati, però, non hanno fatto nulla per difendere le vittime. Quindi l’odio è presente in rete in ogni momento ma, soprattutto, i nostri ragazzi sono passivi rispetto ai rischi di Internet.  Da qui proviene lo slogan concepito per il Sid, ”Crea, connetti e condividi il rispetto: un internet migliore comincia da te”, pensato per responsabilizzare tutti nell’uso del web, a partire dagli adolescenti. Se è vero che sono i più esposti al pericolo sono anche capaci di dare le giuste risposte.


Tra i dati presentati dal Telefono Azzurro ci sono i risultati della nuova ricerca effettuata, in collaborazione con Doxa Kids, sul comportamento di utilizzo di piattaforme e device tecnologici da parte dei 12-18enni. Nel 2017 il loro Centro Nazionale di Ascolto ha gestito 220 casi di problematiche legate all'utilizzo di Internet: cyberbullismo (47%), sexting (24,5%), grooming o adescamento (10,5%). Agli operatori dell'associazione gli studenti hanno sottoposto un pacchetto di richieste per rendere internet uno spazio più sicuro: blocco automatico di foto con contenuti inappropriati, creazione di un sistema per limitare siti o social network ai minori o ragazzi con deficit cognitivi, aumentare le campagne di sensibilizzazione già nelle scuole primarie sui rischi della rete, limitare la quantità di denaro a disposizione delle sessioni di gioco in base all'età. «I numeri, e la nostra esperienza quotidiana di ascolto e di presenza accanto ai ragazzi, ci dicono che i rischi di un uso sempre più intensivo e onnicomprensivo della Rete da parte di bambini e adolescenti non sono un'eccezione, ma una drammatica realtà» commenta Ernesto Caffo, Presidente di Sos Il Telefono Azzurro Onlus. «I bambini, e soprattutto gli adolescenti, si approcciano alla realtà del Web con quel senso di onnipotenza che è connaturato alla loro età, pensando di poter governare la Rete, e finendo invece - a volte con conseguenze tragiche - per esserne vittime». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero