«Penso che prima o poi, e forse già tra pochi anni, sarà necessario ricorrere a un trattamento per la rimozione di ogni traccia di ruggine sui rinforzi...
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Morandi sconfessa sé stesso? «Conosco quell'articolo - spiega l'ingegner Enrico Sterpi, segretario dell'Ordine degli ingegneri di Genova -. In quello scritto il progettista non ammette un errore progettuale, anzi ribadisce che l'opera era concepita bene. Ma mette in evidenza che, alla luce di nuove conoscenze tecniche, non disponibili al momento della realizzazione, il calcestruzzo era esposto a usura e corrosione: partendo da qui pone il problema della durabilità del ponte».
«La struttura - scrive Morandi - viene aggredita dai venti marini (il mare dista un chilometro) che sono canalizzati nella valle attraversata dal viadotto. Si crea così un'atmosfera, ad alta salinità che per di più, sulla sua strada prima di raggiungere la struttura, si mescola con i fumi dei camini dell'acciaieria (il vecchio stabilimento Ilva, ndr) e si satura di vapori altamente nocivi». «Le superfici esterne delle strutture - segnala - ma soprattutto quelle esposte verso il mare e quindi più direttamente attaccate dai fumi acidi dei camini, iniziano a mostrare fenomeni di aggressione di origine chimica». Insomma, è già in atto una «perdita di resistenza superficiale del calcestruzzo». Morandi, scrive il quotidiano, accenna anche a non meglio definite «piastre» che «sono state letteralmente corrose in poco più di cinque anni», quindi nel 1972, e «hanno dovuto essere sostituite, con processi piuttosto complicati, con elementi in acciaio inox». L'ingegnere conclude insistendo sulla necessità di proteggere «la superficie in calcestruzzo, per accrescerne la resistenza chimica e meccanica all'abrasione». E suggerisce l'impiego di resine e di elastomeri sintetici. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero