Quando il suo destino sembrava ormai segnato, la vita gli ha regalato un colpo di scena che mai avrebbe potuto immaginare. La sua richiesta di asilo politico in Inghilterra era...
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Il 22enne Samim Bigzad era arrivato in Gran Bretagna due anni fa, proveniente dal campo migranti di Calais, in Francia, sostenendo che in Afghanistan la sua vita era minacciata dai talebani a causa del suo lavoro in un'impresa di costruzioni legata al governo afgano e ad alcune compagnie americane. Dopo essere andato nel Kent per prendersi cura del padre, cittadino britannico che era stato torturato dai talebani negli anni '90, si è visto rifiutare la domanda di asilo politico senza che gli venisse neanche concessa la possibilità di presentare appello. Il caso ha mobilitato migliaia di persone che hanno organizzato una petizione affinché il ragazzo non venisse rimpatriato, ma accolto nel Paese.
Tutti gli sforzi, però, si sono dimostrati vani: martedì Samim è stato portato all'aeroporto londinese di Heathrow con un biglietto di sola andata per l'Afghanistan. Nel frattempo, però, mentre lui era nel panico totale e urlava «Per favore, no, lì mi uccideranno», i suoi sostenitori continuavano a darsi da fare informando i viaggiatori presenti nello scalo, soprattutto quelli che stavano per imbarcarsi sullo stesso volo, di quello che stava accadendo. Un tale clamore non poteva non arrivare anche alle orecchie dell'equipaggio dell'aereo e del pilota che, alla fine, ha preso la decisione finale: lui non avrebbe mai "deportato" Samim verso una morte quasi certa. Alla fine il ragazzo è stato riportato indietro e collocato in un centro di detenzione, mentre l'aereo è decollato senza di lui con 45 minuti di ritardo. Turkish Airlines e il ministero degli Interni britannico non hanno voluto commentare la vicenda.
«Prima che lo portassero in aeroporto avevo ricevuto da lui un messaggio tristissimo - racconta Kavel Rafeferty, una donna britannica che aveva ospitato Samim nel Kent - Era riuscito a scrivermi solo "Sono venuti a prendermi", poi il suo telefono è rimasto spento. Poi, però, quella notte il mio telefono ha squillato: era lui, sconvolto e felice, che mi chiamava per dirmi quello che era successo a Heathrow e che lo avevano portato in un centro di detenzione. Non riusciva a crederci nemmeno lui. Noi non conosciamo neanche il nome di quel pilota, ma ci sono sicuramente migliaia di persone che vorrebbero saperlo per poterlo ringraziare».
La famiglia del ragazzo, intanto, sta chiedendo al governo afgano di supportare la richiesta d'asilo notificando ufficialmente alle autorità britanniche di non essere in grado di garantire l'incolumità di Samim sul proprio territorio. E gli organizzatori della petizione, nel frattempo, vanno avanti: «Samim non è solo un numero, non è solo una statistica - dice Bridget Chapman - È un giovane timido, incantevole, divertente, educato e innocuo che ha bisogno del nostro aiuto». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero